Se così fosse, allora l'evidenza dovrebbe esserci sin dal nome del Comune: mi riferisco a Brusson, nota stazione turistica della Val d'Ayas, e all'ipotesi che la dizione ufficiale della località derivi da "bruxeum", che sarebbe in latino "miniera d'oro". Questa interpretazione avrebbe un riscontro di fatto proprio nella presenza di diverse miniere d'oro sul territorio del paese, sfruttate da tempo immemorabile e ancora oggi c'è qualche cercatore d'oro della domenica che setaccia materiali di scarto del passato e i vicini corsi d'acqua in una residua febbre dell'oro degna del vecchio Far West. Considerata l'attrattività del turismo minerario, bene è stato fatto, con l'aiuto di fondi comunitari, a valorizzare la più importante miniera della zona, quella di "Chamousira", toponimo che indica la presenza di camosci sulla parete scoscesa dove si trovano le gallerie.
Questo recupero ha significato la nascita di un piccolo museo, situato in una casetta della centrale elettrica del laghetto artificiale fra il Capoluogo e Vollon, che propone fotografie e mappe d'epoca, illustrate da una guida turistica, da cui si cominciano a capire le modalità di sfruttamento e lavorazione, compresa la vita grama dei minatori locali. E poi, sempre con l'aiuto di una guida, c'è la visita a qualche chilometro di distanza ad un pezzo di 150 metri di una delle gallerie del vasto sistema di scavi, dunque nel sito minerario vero e proprio, raggiungibile a piedi in breve tempo attraverso un sentiero che parte dalla strada che sale verso Estoul. Furono gli svizzeri a cominciare a sondare la zona a fine Ottocento, avendo una concessione in una miniera situata nella montagna di fronte, poi arrivarono gli inglesi - presenti in altre zone del l'arco alpino - della società apposita "Gold Mining Evançon Company", che misero in piedi - con un culmine produttivo fra il 1902 e il 1907 - un sistema di sfruttamento scientifico (e colonialistico nell'approccio) di questo singolare e prezioso oro nativo. Lo scavo avveniva tutto l'anno con l'uso della dinamite e con faticosi sistemi manuali di estrazione, che seguivano un filone di quarzo, eseguiti da una decina di lavoratori per turno (al massimo furono occupati nel sito cento persone). Il materiale roccioso con presenza di oro veniva portato con cartelli su rotaia verso una teleferica, che era collegata con una laveria sottostante, dove con un processo di frantumazione si ottenevano pagliuzze d'oro, mentre i certi casi per ricavare il minerale prezioso si adoperava il pericoloso mercurio. Esisteva nelle fasi post estrazione un grande controllo sui minatori. Nella stessa zona si accumulavano i residui della lavorazione ed anche, precipitato dall'alto lungo la parete di roccia, il materiale superfluo risultante dagli scavi. Più a valle era sorta una centrale idroelettrica per alimentare i macchinari. Da segnalare che, finita l'epoca di maggior sfruttamento, andati via gli inglesi che avevano scavato tutto l'oro possibile (nel sito de museo si parla di quattro tonnellate come esito del "mordi e fuggi"), altri subentrarono con scarso successo nella concessione sino ad anni recenti. La visita mi ha divertito e interessato (segnalo che all'interno fa un freddo cane) ed il pezzo di galleria aperta al pubblico fa ben capire le difficoltà e la rudezza del lavoro e dimostra la relatività della distanza, visto che i 150 metri sono una bazzecola all'esterno e ben più lunghi nel cuore della montagna. E' utile sapere che si prevede un ulteriore sviluppo, se finanziato dall'Unione europea, con l'apertura di una nuova zona che dia ancora più conto dei due chilometri e mezzo di gallerie, un dedalo che si sviluppa su di un migliaio di metri di dislivello. Storie del passato minerario della Valle d'Aosta che, se messe in rete con altri recuperi effettuati a Saint-Marcel e che verranno a Cogne, potranno portare turismo di nicchia e visite di turisti ordinari attirati dalle tante curiosità. Per i valdostani uno spaccato di un mondo che non c'è più, ma che dà conto dell'importanza economica di un'attività mineraria diffusa con l'estrazione in diverse zone di metalli molto vari, dimostrazione della ricchezza e della particolarità geologica della Valle di cui non sempre abbiamo consapevolezza.