A parte alcuni conoscenti pazzi per le Olimpiadi e che guarderebbero - in diretta televisiva da Rio de Janeiro - anche la gara delle biglie sulla sabbia o la sfida di samba dalla spiaggia di Copacabana (e sarebbe un bel vedere...), mi pare che i Giochi olimpici brasiliani viaggino con un elevato gradimento ma senza troppo uscirne matti, perché molte delle notizie arrivano già in fretta dai "social" e certe "notturne", per via del fuso orario, dissuadono anche i più appassionati. Al di là dell'apprezzamento per le due valdostane in gara, Catherine Bertone (oggi venticinquesima!) ed il 20 agosto Charlotte Bonin nel triathlon, vorrei annotare qualche pensiero su questa edizione. Certo si è notato che l'organizzazione carioca non è "svizzera" e va ricordato come la sfortuna ha voluto che le competizioni coincidessero con una terribile crisi politica in Brasile per storie di corruzione e bisognerà vedere sul punto che cosa spunterà ex post sui lavori per le Olimpiadi, che attirano appetiti voraci.
Lo si può ben vedere dallo schieramento di potenza di fuoco per la candidatura di "Roma 2024", che sarebbe - il mio pensiero è noto e so bene, fra chi mi segue, che ce ne sono invece di entusiasti all'idea - un disastro costoso ed inutile per l'Italia. Ma, sul versante italiano, quel che ha più colpito è stato il destino gramo del marciatore sudtirolese Alex Schwarzer, che sembrava poter ottenere un "via libera" per correre ed invece si è beccato un tombale otto anni di sospensione dall'attività, che mettono fine alla sua carriera. Appartengo ai rari casi di chi non si scandalizza, ma sostenere questa tesi in pubblico non mi ha portato bene, perché mi sono sentito dire «che aveva già pagato», «che si era pentito», «che poverino non aveva più preso "doping" e si tratta di una macchinazione» e via di questo passo. A garantire per lui e ad agitare i complotti il famoso Sandro Donati, guru dell'antidoping e dunque essendo lui paladino dello "sport pulito" esisterebbe una specie di trasferimento automatico sul suo nuovo pupillo, pronto al riscatto. Vedremo: esiste una denuncia penale e sarà - come sempre in Italia - la Magistratura ad occuparsene e se si dimostrerà che qualcuno ha tramato dietro le spalle del povero Alex sarò pronto a rimangiarmi il mio pare incompreso colpevolismo. Semmai quel che sarebbe stato interessante è usare questo caso per farsi qualche risata sui controlli antidoping, che sembrano davvero non cogliere nel segno, senza immaginare il sofisticato sistema di Stato messo in opera da Vladimir Putin ed alla fine lievemente sanzionato in vista di Rio. Il "doping" purtroppo è pratica costante e prima o poi, come i "prodotti bio", bisognerà fare un label apposito sulle magliette degli atleti davvero puliti. E che lo sport sia fenomeno di Stato anche in Italia lo si vede dal fatto che gli atleti sono in larghissima maggioranza o nelle Forze Armate o nelle Forze di Polizia e dunque abbiamo poco da prendere in giro le Nazioni che fanno dello sport un vessillo nazionalistico, perché anche noi somigliamo ai vecchi Stati del "Patto di Varsavia" con gli atleti in divisa. E qui veniamo al punto che più mi interessa. In studio radio, il grande Eddy Ottoz, che sulle Olimpiadi - e non solo per averle vissute - potrebbe scrivere un'enciclopedia, ha lanciato una proposta interessante, antidoto alle candidature che servono solo come sfoggio di potenza o come fogna di Calcutta della corruzione. Molto semplicemente: si scelga una sede unica e definitiva dove svolgere le gare e questa - perché no? - potrebbe essere, nell'Ottozpensiero, avvenire nel luogo dove si tennero le Olimpiadi dell'Antichità. Olimpia è l'antica città nel Peloponneso sede dei Giochi olimpici, che si sono svolti ogni quattro anni a partire dal 776 a.C. sino al 383 d.C., e luogo di culto di grande importanza. Chiamata anche la "Valle degli Dei", Olimpia già nel X secolo a.C. divenne il centro del culto di Zeus ed i resti di antichi templi, teatri e monumenti ne sottolineano l'importanza. Sarebbe un'idea singolare e ridarebbe alla Grecia quei meriti perduti nel tempo, anche se lì si accende e da lì parte ogni volta la famosa fiaccola. Ma fatemi aggiungere un ultimo pensiero. So bene quanto di retorico ci sia oggi e ci fosse anche nelle Olimpiadi degli esordi nella tregua olimpica (in greco antico: "ἐκεχειρία, ekecheirìa, le mani ferme"), valida - direi secondo le circostanze - in tutta la Grecia per chiunque partecipasse alle grandi feste e ai giochi nazionali; e che avrebbe dovuto far sospendere durante i Giochi tutte le inimicizie pubbliche e private, e la regola prevedeva che nessuno potesse essere molestato, specialmente atleti e spettatori che dovessero attraversare territori nemici per recarsi ad Olimpia. Ebbene anche per il Brasile questa speranza è stata come sempre invocata, ma la realtà - nuda e cruda - è che si tratta oggi di un debole auspicio, che cela invece la triste verità. Infatti, mentre i Giochi si svolgono, l'umanità prosegue senza tentennamenti nella sua ormai evidente capacità di violenza e di autodistruzione.