Come si fa a non parlare di turismo in queste ore: tutto ruota attorno alle vacanze, che siano quelli che vanno via dalla Valle per farle, quelli che se le fanno qui e poi naturalmente - l'altra faccia da medaglia - le migliaia e migliaia di valdostani che ci lavorano, per dritto o per rovescio, oltreché naturalmente loro - i turisti - che si aggirano per la nostra Valle, che tra l'altro quest'anno ha potuto dare il dare il meglio di sé con una stagione meteorologica di cui non lamentarsi. Ma resta un nodo, sempre il solito, su cui riflettere. C'è chi è obbligato ad andare in vacanza a Ferragosto. Per cui - io sono stato fra questi in passato quando facevo a tempo pieno attività politica - questo ha sempre significato una doppia fregatura: maggior ressa dovunque si vada e prezzi più cari per i soggiorni, qualunque sia la destinazione.
Lo vediamo in Valle d'Aosta dove - temo di dovermi ripetere - la sindrome da "tutto esaurito" ferragostano (con arrivi e presenze nelle strutture ricettive che sono alla fine solo uno dei parametri possibili) fa titolo sui giornali, ma non risolve alcuni problemi strutturali, come il tasso di occupazione alberghiera o la desertificazione alberghiera di località un tempo titolate. Certo che Agosto fosse il mese delle vacanze era anche il prezzo pagato quando l'Italia era un grande Paese industriale e - con l'eccezione della "Olivetti" che chiudeva a Luglio - tutti gli altri si beccavano le ferie forzate ed in alcuni casi capita ancora oggi, ma oggi la spalmatura sul resto dell'estate sarebbe un toccasana sia per chi di turismo ci campa ma anche per il portafoglio dei turisti. Sembra però trattarsi di un'impresa improba, per cui figurarsi come può funzionare la famosa e discussa destagionalizzazione su periodi come autunno e primavera. Dunque bisogna prendere atto della realtà ed affrontare il fatto che, nella gran parte dei casi, per gli italiani Agosto resta Agosto con risvolti psicologici e sociali davvero da indagare. Come se - finiti certi obblighi - restasse un imprinting dal passato che obbliga al rispetto di una tradizione che resta ancora ancorata fortemente a vecchie abitudini. Certo non è solo una responsabilità soggettiva delle persone e delle famiglie, ma è un contesto generale inossidabile nel tempo e nelle procedure che spinge molti a tenere viva una tradizionale che sarebbe bene non rispettare più. Oggi attorno al Turismo si combatte una singolare battaglia su a chi spettino poteri e competenze. Lo Stato rivendica più peso, sostenendo che la regionalizzazione di gran parte della materia è stato un fallimento. Ma in realtà anche il livello inferiore di democrazia locale, vale a dire i Comuni, rimarcano come il peso di molte decisioni - pensiamo a fiscalità o trasporti - cadono su di loro senza avere delle leve di comando da azionare. Per altro - non suoni come un paradosso - la materia turistica è nei Trattati ora anche nelle mani della scalcagnata Unione europea. I privati, intanto, rivendicano più spazio di decisione contro il dirigismo pubblico e nel caso italiano questo riguarda, ad esempio, la mole spropositata di burocrazia che pesa sul lavoro delle imprese. Insomma, un dedalo inestricabile da cui non si riesce ad uscire come paralizzati in una ragnatela. Nella piccola Valle d'Aosta, per altro, si vocifera della volontà di accentrare le politiche regionali di promozione ed affini sparse in diversi Assessorati su un soggetto decisore autoritario, magari nelle mani di chi - in questi anni e contando su finanziamenti in tempi di vacche magre - è diventato una sorta di Manitù che tutto muove in materie diverse, ma fedelmente legato alla catena di comando che sale fino ad una sola persona. Una logica piramidale che si scontra con la forma reticolare che dovrebbe garantire democrazia nelle decisioni e reale partecipazione, ma si sa che il potere assoluto ha i suoi vantaggi per chi lo esercita. Questo indirizzo vedremo come si concretizzerà ed in fondo c'entra anch'esso con la speranza di poter in qualche modo meglio regolamentare i flussi per evitare che ci sia il troppo o il troppo poco. Questo vorrebbe dire, però, coinvolgere e non centralizzare sempre di più: il federalismo, insomma, che si invoca non praticandolo.