Va dato merito al "Fai - Fondo Italiano per l'Ambiente", delegazione valdostana, di scegliere con oculatezza ogni anno, in occasione delle giornate di primavera, un bene culturale straordinario ma non ancora visitabile o difficilmente visitabile. Ieri è stato il caso dell'area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans ad Aosta: un gioiello della storia valdostana più profonda, scoperto mezzo secolo fa da una ruspa che scavava per fare un condominio, purtroppo un sito non ancora aperto al pubblico a causa di un cantiere infinito per la costruzione del complesso sistema architettonico di valorizzazione. Ma tra poco una parte sarà finalmente aperta ed il complesso lo sarà interamente nel 2020. C'è da augurarsi - segnalo incidentalmente - che nel frattempo le attività commerciali e ricettive nel quartiere si preparino all'afflusso di pubblico, altrimenti sarà un flop per lo sviluppo economico della zona. Ieri l'unico bar nei paraggi, benché sollecitato - così mi è stato detto - per la presenza di centinaia di persone, era tristemente chiuso.
L'archeologa Francesca Martinet era una delle guide e con simpatia e competenza ha raccontato al mio gruppo di visitatori le vicende avvincenti di questa vasta zona, così com'è stata "vissuta" dalla Preistoria sino al Medioevo. Equivalente ad una Cattedrale a cielo aperto - oggi protetta da una costruzione moderna - si sono avvicendati nelle costruzioni stili e interventi a seconda delle epoche e ci sono stati di conseguenza cambiamenti e stratificazioni. Le prime realizzazioni - definite «per il culto dei vivi» - erano di fatto un pantheon di divinità omaggiate con steli, arature effettuate con vomere trainato da un bovide (se confermata la data di 4200 a.C. gli studiosi di tutto il mondo dovrebbero retrodatare di cinquecento anni l'uso dell'aratro!), zone che sarebbero servite a festeggiamenti e banchetti in quello che sembra essere un tempio a cielo aperto. Alcuni riferimenti mitologici, presenti nella zona archeologica, fanno riferimento a miti dell'antica Grecia, ma attenzione che gli studiosi dicono che queste popolazioni, precedenti a quelle celto-liguri (i famosi Salassi) venivano da Nord, dall'altra parte delle Alpi, e non come si potrebbe pensare dalla Magna Grecia. Erano, essendo il Neolitico, degli agricoltori, ma anche allevatori e cacciatori. Le popolazioni che seguirono, sempre per una spinta da Nord, presero gli elementi già presenti in loco per celebrare il culto dei morti e costruirono un'area cimiteriale, anch'essa attenta come quella precedente agli orientamenti delle costruzioni simboliche rispetto al cielo stellato con posizionamento preciso in favore degli astri. Poi romani e popolazioni medioevali adoperarono - come si vedrà nel museo appositamente allestito - quanto esisteva prima. Tutto serve e nulla si butta e non esistevano come oggi logiche conservative ma di riutilizzo utilitaristico. Dice meglio di me il sito lovevda: "L'area, riportata alla luce nel 1969, si estende per circa un ettaro e rivela uno dei più interessanti siti archeologici in Europa. Suggestivamente scanditi, significativi momenti di quasi cinque millenni di storia, dall'Eneolitico antico ai giorni nostri. Si possono individuare varie fasi strutturali: la prima consistente nell'allineamento lungo una direttrice che va da nord-est a sud-ovest di ventidue grossi pali in fosse cilindriche in cui si sono trovate ceneri d'ariete. La seconda, avvenuta dopo un rito di consacrazione o di fondazione mediante aratura, consiste nell'infissione di oltre quaranta stele antropomorfe, associata a semina di denti umani. Nell'ultima fase vengono introdotti nuovi elementi, non più destinati al culto dei vivi ma a funzioni funerarie: la costruzione di alcune tombe megalitiche, probabilmente di membri di eminenti famiglie della comunità, costruite totalmente fuori terra e che, come le strutture delle precedenti fasi, evocano un significativo orientamento astronomico. Per oltre due millenni l'area ebbe funzione cimiteriale e venne poi progressivamente abbandonato in prossimità dell'Età del Bronzo. Comprova tuttavia l'interessante fenomeno della persistenza della sua utilizzazione funeraria la presenza di tombe galliche su uno strato alluvionale dell'Età del Ferro, e di tombe romane, nei livelli di scavo superiori, su cui sorse la chiesetta romanica dedicata a San Martino". Insomma: la Valle d'Aosta non finisce mai di stupire e tutto quanto fa capire come ondate successive di popolazioni abbiano inciso e forgiato la nostra cultura. Certo restano da scoprire ancora mille segreti nell'avvincente tentativo di svelare la storia più remota e ciò avviene con indizi da mettere assieme per capire. Così gli archeologi - assieme a molti scienziati delle altre materie specifiche che "leggono" i monumenti e le varie "tracce" da seguire - cercano la verità in un complicato gioco di pazienza.