Son qui che guardo il dossier della "Zona franca", reduce come sono da un'audizione di ex parlamentari valdostani con la Commissione competente del Consiglio Valle, che si sta occupando di questa questione, in verità invecchiata come tutti noi, che - politici di lungo corso - usciamo dall'armadio quando c'è necessità. Anzi, a dir la verità, era già vecchia questa storia quando ho cominciato a far politica. Nel dibattito del secondo dopoguerra, in cui sin da subito il tema fu «abbiamo lo Statuto, ora applichiamolo» (e per certe questioni siano ancora fermi lì...), la questione teneva banco, aspettando che un confine doganale si costruisse all'ingresso-uscita della Valle d'Aosta. Promesse, promesse, rimaste purtroppo tale e devo dire che è ingiusto, come scrive qualcuno di tanto in tanto, che in fondo ai politici valdostani dell'epoca andava bene così e di conseguenza a proteste di facciata mai seguì qualcosa di realmente muscolare.
La verità è che già allora autorevoli politici romani - Amintore Fanfani docet, ora che i toscani sono tornati di moda - erano dei fantastici cantastorie ed i valdostani ci cadevano, visti certi esiti elettorali della Democrazia Cristiana. E' che intanto la norma di cui all'articolo 14 (la so pure a memoria) restava sempre la stessa del 1948: "Il territorio della Valle d'Aosta è posto fuori della linea doganale e costituisce zona franca. Le modalità d'attuazione della zona franca saranno concordate con la Regione e stabilite con legge dello Stato", ma con la singolare situazione - che le norme giuridiche hanno - di restare tali e quali al punto di vista lessicale, ma mutando perché cambia il mondo attorno a loro. Confesso che a me questa storia dell'"autonomia dinamica", cioè previsioni statutarie che vivono, poi muoiono, poi giacciono, poi tornano mi ha sempre affascinato a dispetto di chi pensa che il Diritto sia razionale come la Ragioneria. Per altro, per ricordare la prima tappa di rinvio di ogni decisione, basta fermarsi già al 1949, quando il Parlamento votò una leggina - quella sulla esenzione fiscale per determinate merci e contingenti - con cui "in attesa che sia attuato il regime di zona franca previsto per il territorio della Valle d'Aosta" veniva distribuito zucchero, caffè, cacao in grani, birra e soprattutto quei carburanti, noti come "buoni benzina", poi aboliti pochi anni fa ed era quanto restava di poco di quel regime così transitorio da essere durato per sessant'anni... A dire il vero la fine annunciata per benzina e gasolio in esenzione fiscale si sarebbe potuto dimostrare un momento buono per riparlare di "Zona franca" e lo facemmo con una bozza di norma d'attuazione presentata al Governo Prodi, quando ero presidente della Regione, ma poi l'iniziativa venne buttata via da chi mi succedette. Certo è che, comunque sia, con il lento e inesorabile affermarsi dell'Europa le regole sono state sempre più cogenti sul Mercato e sulla Concorrenza. E l'abbattimento delle frontiere doganali suonò come una campana a morto sempre più forte per le zone franche doganali come la nostra, per cui nel tempo ci si è sbizzarriti a cercare formule diverse. Anche se, a dir la verità, con gli anni Ottanta e la fissazione di un riparto fiscale stabile e molto redditizio chi faceva, come me, il deputato agiva di più sulla difensiva a tutela di quell'ordinamento finanziario sino ad ottenere ad una sua blindatura con norme di attuazione "stabili". Poi sono tornate le "vacche magre" e così la "Zona franca" rinverdisce e già esistevano approfondimenti su zone franche d'impresa o anche su un "bipolo franco" con Martigny e cosa del genere. Ma, nel frattempo, in Europa, ma sotto un controllo occhiutissimo della Commissione europea, hanno cominciato ad espandersi le "Zone franche urbane" e qualcuno in Italia ha cominciato, anche se le precedenti non hanno funzionato, a parlare di "Zone franche montane". Contenitore per ora vuoto. Non mi infilo, anche perché tecnicamente l'ho fatto in Commissione consiliare, in questioni troppo tecniche, ma diciamo che il terreno è esplorabile sia che lo si debba inserire in un eventuale nuovo Statuto dopo l'entrata in vigore della nuova Costituzione renziana (se il popolo voterà a favore), sia che - come io spero - si dica un sonoro «no» e si torni ad un regionalismo al posto dello statalismo patrocinato dal Premier. Ma, intanto, come sempre vale la pena di studiare come un apparente ferrovecchio come la "Zona franca", che certo a Bruxelles piace pregiudizialmente poco, possa gemmare qualcosa di utile di questi tempi di imminenti riforme statutarie che - se passasse la riforma costituzionale Renzi - si dovrebbe riscrivere lo Statuto, magari più che ragionando di zone urbane o di fondovalle, pensando a quella parte di Montagna valdostana da far rivivere, contrastando quei sovraccosti che spingono all'abbandono e gelano l'Economia.