Si mischiano ogni tanto dei pensieri in queste cronache quotidiane, che si affacciano non solo sui fatti ma anche sugli stati d'animo, uniformando i nostri comportamenti e influenzando le nostre giornate, che vanno sempre prese per quel che sono, senza lasciarsi vivere, perché quella sarebbe la peggior sconfitta. Io quel 1977, che fu anno di contestazioni studentesche, me lo ricordo bene. Esistevano elementi interessanti e di rottura - penso alle battaglie dei Radicali per i diritti civili - ma poi si manifestava già una tetra tendenza alla violenza che allora, come sempre, non portò a nulla di buono. Ho conosciuto persone che sono finite malamente in quel tunnel che portava poi in automatico - così avviene quando si scherza con il fuoco - a situazioni di correità con gli orrori del terrorismo in un periodo confuso della storia italiana, pieno ancora di misteri che forse non verranno mai risolti.
Esisteva, viceversa, un pezzo di un slogan che veniva spesso pronunciato e che dava conto di una parte più allegra e spensierata della politica di quegli anni e che suonava così: «Una risata vi seppellirà!». Slogan - così si diceva all'epoca - ereditato dal Sessantotto, ma preso a prestito dall'anarchismo ottocentesco e pare da qualche antico motto latino. Ridere. Trovo questa una questione da affrontare con... serietà. Esisteva in mio padre questa tendenza scherzosa, che temo di avere ereditato, che in lui si esprimeva in particolare nel racconto di barzellette di tutti i generi, che non so neppure bene dove scovasse o come le inventasse, visto tra l'altro il continuo rinnovamento del suo repertorio. Ci fosse stato Internet avrei capito, ma all'epoca non c'era e mai ho visto libri di barzellette in giro per casa, per cui penso davvero che le raccogliesse in giro - nel suo nomadismo da veterinario in visita - o forse se le costruisse di sana pianta attorno ad un repertorio stratificatosi negli anni. Da ragazzino - quando il comprendonio c'era - ero preoccupato, quando giravo con lui, perché temevo sempre una sua battuta fulminante potesse creare degli imbarazzi. Oggi vedo nei miei figli più grandi qualche sguardo simile al mio di allora in determinate circostanze quando sto per dire qualcosa. D'altra parte sia chiaro che la genetica pesa e dunque è del tutto naturale che in noi, come avverrà per i nostri figli o nipoti, agiscano meccanismi inconsci più grandi di ciascuno di noi che operano sui nostri comportamenti, nel bene e nel male. Questa idea della risata terapeutica, che illumina anche i momenti più grigi, è comunque verissima e vale molto anche in politica. Mi conforta il fatto che, nell'abituarmi a parlare in pubblico, ho constatato che non ci dev'essere occasione in cui manchi una qualche battuta di spirito, pur adatta alle circostanze. Quando morì Mario Pogliotti, Caporedattore della "Rai" di Aosta, il suo amico Piero Angela tenne un'orazione funebre assai divertente e quello mi illuminò sul fatto che, anche in circostanze funebri, è meglio ridere che piangere nel ricordo. Questo in politica è davvero capitale e non mi riferisco a grandi oratori, che sanno sempre mischiare serio e faceto nella descrizione degli avvenimenti e pure delle speranze, ma al fatto che in effetti la rappresentazione peggiore del Potere, con i suoi vizi e le sue storture, funziona. Come diceva il poeta latinista francese Jean de Santeul - e non a caso figura nel frontone di alcuni teatri - «Castigat ridendo mores» (ma lo diceva già Orazio!), cioè "Corregge i costumi deridendoli". Insomma, quando la situazione è davvero grave e segnalarlo è cosa buona e giusta, bisogna sempre girare attorno ai problemi e cercare anche il lato grottesco e ridicolo, perché spesso colpisce di più una bella risata rispetto al cogitare pensoso con l'uso di mille filippiche moralistiche.