Nelle stesse ore la cronaca ha incrociato due storie diverse e senza legami fra loro: la soluzione del "caso Rosboch", l'insegnante canavesana uccisa per strangolamento da una coppia di amanti che l'avevano truffata, e la morte di Umberto Eco, studioso e scrittore di chiara fama stroncato per la nota malattia. Avendo letto Eco per trent'anni sulla sua "Bustina di Minerva" su "L'Espresso", con cadenza settimanale dal 1985 al 1998 e poi quindicinale in tandem con Eugenio Scalfari, penso che sarebbe stato vivamente interessato - con la sua arguzia e ironia - da questa casualità, ma soprattutto da come questi due eventi siano significativi per la reazione che innescano sui media, da lui studiati, della televisione e dei social.
Il primo caso è figlio di quella provincia italiana di cui Eco (cognome imposto al nonno trovatello e acronimo di "Ex Coelis Oblatus", cioè "donato dal Cielo") era espressione, provenendo da Alessandria. Ebbene il "caso Rosboch" è una storiaccia di cronaca nera, filone fecondo per certa televisione che intinge il biscotto nel voyeurismo. Una signorina zitella, irretita da un giovanotto balordo e sessualmente trasformista (lo si vede nei numerosi e ambigui profili "Facebook" scoperti dagli inquirenti), che viene spogliata dai suoi risparmi con promesse truffaldina e infine strangolata - quando diventa rivendicativa - dal ragazzo con la complicità del suo amante gay più vecchio di trent'anni. Immagino che Eco - con la sua cultura enciclopedica - ci avrebbe immerso nella commedia umana e nell'interesse di sempre per storie perverse e terribili, che hanno corroborato anche la grande letteratura, ma anche quella di scarsa qualità, di cui certa televisione è legittima erede. Ma Eco muore - la sera dello stesso giorno della soluzione del delitto - e lo fa in un orario difficile per i giornali, che devono smontare pagine già pronte per andare in stampa, tant'è che bisognerà aspettare due giorni, cioè ieri, per avere pezzi ragionati e non quelli scritti di corsa o giacenti in caso di morte (i famosi "coccodrilli"). Eco avrebbe seguito con curiosità l'effetto di questo décalage temporale, ma si sarebbe divertito anche perché nel frattempo i social si sono impadroniti della sua morte, dimostrando con chiarezza quanto avesse ragione nel dire, come aveva fatto: «Internet? Ha dato diritto di parola agli imbecilli: prima parlavano solo al bar e subito venivano messi a tacere». Affermazione che gli aveva causato, poco tempo fa, una ridda di improperi e reazioni sdegnate, come se la sua affermazione fosse antidemocratica e affetta da snobismo intellettuale verso il popolino. E, invece, l'osservazione era perfetta e te lo immagini il Tizio, opinion leader da bar, nella piazza principale di Alessandria che sproloquia al bancone, facendo l'opinionista, gelato al momento giusto da qualche battuta fulminante e sfottente di uno degli avventori. Invece sui social la questione non si ferma e scatena curiose "catene di Sant'Antonio", ma soprattutto la morte di Eco, come di altre personalità di primo piano, ha innescato reazioni anche di molti "navigatori" che manco sapevano chi fosse e, pur non avendo neppure una sua riga, hanno iniziato con commenti e spiegazioni, citazioni e riferimenti, spesso appunto basati sul vuoto pneumatico. Due casi esemplari, diversi e casualmente coincidenti, che ci ricordano storture e miserie di televisione e social.