Andare a mangiare fuori - come si dice rispetto al desco domestico - è per me un piacere. Penso di essere più un "gourmet" che un "gourmand", convinto che una piacevole esperienza a tavola si può avere dalla piola più semplice o dal banchetto del cibo di strada sino al ristorante stellato o alla cena casalinga con un'amica (o un amico) capace ai fornelli. Stare a tavola non è mai tempo perduto e per altro - calcolato su di una vita media di ottant'anni - passeremmo secondo la statistica sei anni e mezzo a mangiare... Il grande gastronomo ottocentesco Pellegrino Artusi scriveva: «Il mondo ipocrita non vuol dare importanza al mangiare; ma poi non si fa festa, civile o religiosa, che non si distenda la tovaglia e non si cerchi di pappare del meglio».
Oggi certi tabù sul mangiare sono crollati e non c'è televisione che non punti sul cibo in modo quasi ossessivo ed il successo di programmi come "MasterChef" ne sono la tangibile dimostrazione per non dire di vecchie glorie di trasmissioni come "La prova del cuoco" che sono la celebrazione degli eccessi alimentari in un'Italia che sembra non aver ancora superato una fame atavica. Come siamo messi in Valle d'Aosta? Esistono due criteri. Uno soggettivo, mio e personalissimo, che è fatto di certezze per alcuni capisaldi, di tristezze per vecchie glorie scomparse da tempo (ne cito tre: il mitico "Cavallo Bianco" di Aosta, il "Reale" di Bard, il "Dora" di Pont-Saint Martin) o semplicemente decadute (elenco tristissimo che evito per carità di patria) ed il piacere di novità periodiche ma non così numerose. Un secondo viene dalle guide gastronomiche: mi pare che due offrano spunto e cioè la solita "Guida Michelin" e - a più ampio spettro enogastronomico - il "Golosario" di Paolo Massobrio, che conosco e che è persona colta e curiosissima. Magistrali le recensioni su "La Stampa" di Edoardo Raspelli, per altro simpaticissimo anche di persona e bon vivant preparatissimo. Non mi esprimo più di tanto su "Tripadvisor" - i commenti popolari in Rete - perché uso la app per dare un'occhiata anche ai ristoranti, ma è difficile destreggiarsi fra marchette e vendette che alzano o abbassano i voti nel fallimento di recensioni affidate alle bizze dei consumatori. Ma usiamo appunto la "Michelin" e le sue stelle su cui anche in Francia, dove nasce, si discute spesso su metodi, ma tant'è. La Valle ha cinque ristoranti con una stella, in una situazione che appare stabilizzata: il "Vecchio Ristoro" ad Aosta, "Le Petit Restaurant" a Cogne, il "Petit Royal" a Courmayeur, "La Clusaz" a Gignod ed il "Café Quinson" a Morgex. Ho mangiato in tutti e non mi metto qui a fare graduatorie a seconda dei miei gusti e neppure a descrivere luoghi e personalità degli Chef stellati, che ormai è facile da rinvenire ai tempi di Internet. Mi interessa - dando per scontato che non sono solo i riconoscimenti delle guide a fare la gastronomia e il suo valore - dire che il numero di stellati da noi è abbastanza equo in rapporto alla popolazione, anche se forse qualcuno con più stelline ci starebbe. Se pensiamo che ne abbiamo come la Puglia, uno più della Calabria, ne contiamo di più dei due stellati della Sardegna, e ci difendiamo fra le piccole Regioni, visto che si va dai tre ristoranti stellati delle Marche (ma due hanno due stelle) ai due delle Marche (entrambi due stelle), mentre spicca l'Abruzzo con sei stellati (uno, in zona montana, con tre stelle) e nessuno viene segnalato in Basilicata. In zona alpina ovviamente il riferimento - tolti gli stellati friulani più o meno equivalenti ai nostri - resta il Trentino-Alto Adige/SüdTirol. Nella Provincia di Trento ci sono - e non è eclatante - otto ristoranti ad una stella, mentre in Provincia di Bolzano - ed è eclatante - ce ne sono ben quindici e ci sono quattro locali con due stelle, segno che i sudtirolesi hanno il record dei ristoranti stellati in montagna. Quando si scava in quella realtà si nota che, accanto a punte avanzate di sperimentazione, esiste una media elevata (e non solo stellata) di presentazione della gastronomia locale non sempre facilmente rinvenibile in Valle d'Aosta, malgrado molti miglioramenti e coraggiose iniziative imprenditoriali. Bisognerebbe spingere ancora di più sull'acceleratore, specialmente nella città di Aosta, dove "mangiare valdostano" (uso il virgolettato per dare la più grande vastità al termine, come sarebbe dovuto essere nel progetto originario di "Saveurs du Val d'Aoste") non è sempre così semplice. Ed invece sarebbe importante poterlo fare, perché specchio del territorio e della civiltà che ne è conseguita, anche contro l'anonimato e il grigiore di certo melting pot culinario.