La crisi profonda dello Stato Sociale in Valle d'Aosta scopre uno dei nervi più dolorosi. Mette cioè alla prova quanto di retorico ci sia stato - anche da parte di componenti del mondo cattolico - attorno al tema, loro cavallo di battaglia ma lo dovrebbe essere egualmente per chi è laico, del ruolo importante della Famiglia. Il venir meno di molti servizi o il rincaro delle tariffe agiscono come una ghigliottina sui bilanci familiari in tempo di crisi della finanza pubblica, in una Valle d'Aosta dove la deflazione registrata ad Aosta è segno che la temuta stagnazione incombe. Questo agirà come ulteriore motivazione per le coppie valdostane - scusate la franchezza - a ridurre al minimo la scelta di procreare dei bambini.
Se uno va a scorrere gli ultimi dati demografici, quelli del 2014, ma tra breve ne avremo conferma con il 2015, la situazione non è già per nulla rosea, specie se confrontata ai dati migliori delle zone di montagna a noi simili, come sono le Province autonome di Trento e di Bolzano. La questione, senza eccedere nelle cifre tutte rinvenibili sulla parte statistica del sito Internet della Regione, è anzitutto la crescente concentrazione della popolazione nel fondovalle e in particolare nei Comuni della "Plaine", cioè Aosta e dintorni. Una forma di urbanesimo ben nota, che va di pari passo con la crisi delle nascite, specie quelle della popolazione stanziale e non di quella influenzata, come avviene con molti cittadini non comunitari, da spostamenti per ragioni economiche, che non hanno reale radicamento territoriale (per altro sappiamo che quelli che un tempo venivano chiamati extracomunitari sono in diminuzione). Da metà degli anni Settanta i nati in Valle d'Aosta (passati dai 1.600 del 1964 al migliaio di questi ultimi anni) non sopperiscono ai morti e se andiamo a vedere una serie di Comuni c'è da rimanere impressionati per la conferma dello spopolamento (spesso mascherato da flussi migratori per lavoro turistico) e per l'invecchiamento della popolazione residente, valido in primis per la stessa città di Aosta o grandi Comuni come Saint-Vincent e Châtillon. Certo spiccano per l'indice di vecchiaia Bard (malgrado il grande investimento sul Forte), località che avrebbero pure una grande propensione turistica come Champorcher e Chamois, paesi montani come Bionaz, Ollomont, Valgrisenche e Valsavarenche. In certi casi, purtroppo, siamo al limite di una tenuta sociale di comunità che rischiano in futuro di inaridirsi fino al limite della scomparsa e non per ragioni istituzionali ma di autentica desertificazione umana. Assorbiti come siamo dai giusti problemi contingenti, alcuni dei quali molto importanti, bisognerebbe però non perdere una visione prospettica e capire dove vogliamo andare nella difesa di una presenza comunitaria nelle zone di montagna. Non credo, come ho letto in questi mesi, che la soluzione sia il ripopolamento dei Comuni più in difficoltà demografica con flussi di migranti, destinati ad aumentare per le molte ragioni note. Anzitutto perché sappiamo bene che l'Italia è considerata un Paese di transito verso destinazioni preferite e poi non si può immaginare una logica di deportazione di popolazioni, specie in contesti come quelli alpini, provenienti da luoghi che abbiano caratteristiche - fosse solo climatiche - del tutto differenti. Ma naturalmente questo non significa affatto non riflettere anche su questo, nel limite del buonsenso e della ragionevolezza. Certo non andremo molto distanti se la logica sarà chiusura delle scuole, riduzione dei servizi sanitari, sparizione degli sportelli postali, strade meno praticabili, trasporti ridotti e via di questo passo nel nome della "spending review" e pure di un cinismo elettoralistico che premia laddove ci sono più elettori e dunque più voti la vedo sinceramente dura. Gran parte delle zone alpine sono già strangolate da queste vicende, malgrado la retorica convegnistica ormai assillante sul rilancio della montagna. Pensiamo a tutte le storie su Internet e la banda larga ed alla delusione sul fatto che i Piani governativi lasciano da parte le zone montane. Per non dire, ma non mi dilungo, dei problemi occupazionali, che colpiscono duro in montagna e senza lavoro dove si va? Per la Valle d'Aosta la difesa dal declino è sempre stata l'Autonomia speciale e non solo per i soldi che l'hanno alimentata, ma per l'impronta culturale e la scelta ideale, che ha caratterizzato l'Autonomia anche negli anni, almeno trentacinque, in cui la Valle, partendo dal 1945, ha vissuto una dignitosa povertà. Non lo dico con nostalgia, perché quella situazione di incertezza nei rapporti finanziari con lo Stato era ingiusta ed oggi non si può pensare di accettare penalizzazioni così gravi alle finanze regionali, come quelle in atto, cui si reagisce oggi con inspiegabile torpore. Bisogna ribellarsi per invertire - anche attraverso la garanzia di un welfare solido - la tendenza demografica, altrimenti un popolo valdostano senza energie fresche e privo dell'entusiasmo dei giovani rischia di diventare una caricatura.