Se penso ai gusti della mia infanzia, mi torna in bocca il sapore impagabile del latte appena munto, che diventava migliore mano a mano si risaliva di altitudine e dunque sui pascoli più alti il latte d'alpeggio raggiungeva sapori e odori straordinari. Ci riflettevo pensando a una aspetto burocratico, ancora pieno di incognite nella passata gestione all'italiana. Mi riferisco alle "quote latte", meccanismo europeo risalente agli anni Ottanta, che ha creato una regolazione del mercato ed evoco lo sforzo, nella Legislazione italiana, di trovare ogni volta - che fatica nell'attività parlamentare! - eccezioni per renderla più adatta alle zone di montagna.
Ma oggi, a pochi giorni dalla scomparsa di questo metodo regolatore, ci si preoccupa delle conseguenze della liberalizzazione del mercato. Malgrado certi meccanismi di compensazione per l'agricoltura di montagna, un fatto certo è che il mercato verrà invaso da latte a bassissimo prezzo e le zone di montagna, dove produrre costa di più, si troveranno nel rischio evidente della chiusura di molte stalle per l'impatto feroce della concorrenza. Sono molti gli allarmi lanciati in queste ore e, nel caso valdostano, questo riguarda anche la salvaguardia della zootecnia con razza autoctona, come avviene in altre zone delle Alpi, dove si è mantenuto il patrimonio bovino tradizionale, spesso abbinato - come nel caso della "Fontina" - ad un disciplinare che, a salvaguardia della "Denominazione d'origine protetta", prevede misure a tutela di formaggi caratteristici. Questa circostanza ha evitato l'invasione di razze esterne, di pianura, molto più redditizie e produttive, ma prive di quel legame territoriale che è salvaguardia di qualità. Oggi poco meno del dieci per cento del latte dell'Unione europea viene prodotto in territorio montano e le Alpi fanno la parte del leone e il 59 per cento delle superfici agricole serve per l'alimentazione nella filiera zootecnica. Questa situazione è salvifica per l'agricoltura, mantiene il paesaggio, valorizza la biodiversità, serve come elemento qualificante del settore turistico. Ma tutto ciò è destinato a crollare se le logiche di mercato prevarranno sulla particolarità del prodotto, che tra l'altro oggi può godere del label europeo "prodotto di montagna" con una sua riconoscibilità contro i rischi di frode. La fine delle "quote latte" non sembra per ora, malgrado molte e interessanti discussioni al Parlamento europeo, coincidere con misure reali di salvaguardia del settore lattiero-caseario e le zone alpine stanno cercando di far capire, nelle rispettive Capitali, e soprattutto a Bruxelles quanto la posta in gioco sia decisiva. E anche il fatto, non secondario, di come il "fattore tempo" sia importante per evitare che si intervenga dopo che troppe chiusure di stalle in montagna abbiano creato situazioni ormai irrecuperabili. E' significativo, da questo punto di vista, come certe scelte europee finiscano davvero per avere una puntuale ricaduta sui territori e come la mancanza di contromisure in tempi utili potrebbe risultare mortale per l'agricoltura alpina, che già ha subìto in modo evidente le ricadute della crisi economica che ancora colpisce l'Europa.