Mi scuso per la lunghezza e per le citazioni in "giuridichese", ma non posso fare altrimenti di fronte alla brutta la sentenza di questi giorni della Corte Costituzionale sull'ordinamento finanziario della Valle d'Aosta, pronunciata sulla base di ricorsi che la nostra Regione aveva fatto su parte delle manovre finanziarie dello Stato, che colpivano il famoso principio dell'intesa, quando si toccano i principi del riparto fiscale. Dice la Corte (relatore Aldo Carosi, giudice per nomina della Corte dei Conti e non sembra un caso), affondando la lama: "Occorre considerare che il complessivo concorso delle Regioni a Statuto speciale, così come quello delle Regioni a Statuto ordinario, rientra nella manovra finanziaria che lo Stato italiano, in quanto membro dell'Unione europea, è tenuto ad adottare per dimostrare il rispetto dei vincoli di bilancio previsti o concordati in ambito dell'Unione europea (articolo 126 del "Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; articoli 2 e 3 del Protocollo numero 12 sulla procedura per i disavanzi eccessivi). Si tenga, inoltre, conto che con l'introduzione del semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche da parte del Regolamento (UE) numero 1175 del 2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 novembre 2011 che modifica il regolamento (CE) numero 1466 del 1997 del Consiglio del 7 luglio 1997 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche - cui è conseguita la modifica della legge 31 dicembre 2009, numero 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica) da parte dell'articolo 1 della legge 7 aprile 2011, numero 39 (Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, numero 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri) - è stata anticipata la presentazione e la valutazione dei programmi di stabilità da parte degli Stati membri. Si tratta, quindi, di misure legislative statali direttamente riconducibili agli articoli 11 e 117, primo comma, Costituzione. Considerate, inoltre, le modalità temporali anticipate di quantificazione di detta manovra, non è ipotizzabile che lo Stato possa presentare quella inerente al concorso regionale dopo aver completato il complesso iter di negoziazione con ciascuno degli Enti a Statuto speciale interessati. Conseguentemente, la determinazione unilaterale preventiva appare funzionale alla manovra e, in quanto tale, conforme a Costituzione nei termini appresso specificati relativamente al carattere delle trattative finalizzate all'accordo". Insomma: con la scusa dell'Europa il principio dell'intesa sfuma.
Imperdibile poi un secondo ragionamento che riguarda i criteri di ripartizione che colpiscono di più una Regione piccola come la nostra: "... non è esatto sostenere che il contributo, così come determinato dalla legge di stabilità, non sia negoziabile in assoluto: in proposito l'impugnato comma 11 prevede una riduzione degli obiettivi programmatici dell'esercizio di riferimento pari alla somma degli importi analitici indicati nella tabella di cui al precedente comma 10. Dal momento che la manovra di finanza pubblica prende a riferimento il totale dei contributi delle autonomie speciali, questi ultimi potrebbero essere singolarmente rimodulati a condizione dell'invarianza del saldo complessivo. Tale principio è stato da ultimo espressamente enunciato nell'articolo 46, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, numero 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale, convertito con modificazioni dall'articolo 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, numero 89), il quale dispone: "Gli importi delle tabelle (inerenti al concorso delle autonomie speciali) possono essere modificati, ad invarianza di concorso complessivo alla finanza pubblica, mediante accordo tra le Regioni e le Province autonome interessate (…) in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. Tale riparto è recepito con successivo decreto del Ministero dell'economia e delle finanze. Il predetto accordo può tener conto dei tempi medi di pagamento dei debiti e del ricorso agli acquisti centralizzati di ciascun ente interessato". Occorre tuttavia riconoscere che, ove il margine di negoziabilità fosse limitato ad una rimodulazione interna tra le varie componenti presenti nella citata tabella relative alle diverse autonomie speciali, con obbligo di integrale compensazione tra variazioni attive e passive, la censura avrebbe fondamento, poiché ogni margine di accordo comportante un miglioramento individuale dovrebbe essere compensato da un acquiescente reciproco aggravio di altro ente, difficilmente realizzabile. Così limitatamente interpretato, il meccanismo normativo - ancorché astrattamente compatibile con il concetto di accordo - sarebbe sostanzialmente svuotato dalla prevedibile indisponibilità di tutti gli enti interessati ad accollarsi l'onere dei miglioramenti destinati ad altri e, conseguentemente, sarebbe lesivo del principio di leale collaborazione e dell'autonomia finanziaria regionale". Ma ecco il colpo di scena interpretativo, che finisce per distinguere fra le Speciali "buone", che hanno trattato con lo Stato accordi più favorevoli e quelle "cattive", come la Valle d'Aosta, che non l'hanno fatto: "In realtà, una lettura costituzionalmente orientata della norma, peraltro confermata dalla prassi ed in particolare dalla morfologia degli ultimi accordi stipulati in questa materia tra Governo ed autonomie speciali (Accordo tra il Governo e la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 15 ottobre 2014; Accordo tra il Ministro dell'economia e delle finanze e la Regione siciliana del 9 giugno 2014; Accordo tra il Ministro dell'economia e delle finanze e la Regione autonoma Sardegna del 21 luglio 2014; Accordo tra il Ministro dell'economia e delle finanze e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia del 28 ottobre 2014) dimostra che lo strumento dell'accordo serve a determinare nel loro complesso punti controversi o indefiniti delle relazioni finanziarie tra Stato e Regioni, sia ai fini del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto dei vincoli europei, sia al fine di evitare che il necessario concorso delle Regioni comprima oltre i limiti consentiti l'autonomia finanziaria ad esse spettante. Ciò anche modulando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti, in relazione alla diversità delle situazioni esistenti nelle varie realtà territoriali. Per questo motivo, il contenuto degli accordi, oltre che la riduzione dei programmi in rapporto al concorso della Regione interessata ad obiettivi di finanza pubblica, può e deve riguardare anche altri profili di natura contabile quali, a titolo esemplificativo, le fonti di entrata fiscale, la cui compartecipazione sia quantitativamente controversa, l'accollo di rischi di andamenti difformi tra dati previsionali ed effettivo gettito dei tributi, le garanzie di finanziamento integrale di spese essenziali, la ricognizione globale o parziale dei rapporti finanziari tra i due livelli di governo e di adeguatezza delle risorse rispetto alle funzioni svolte o di nuova attribuzione, la verifica di congruità di dati e basi informative finanziarie e tributarie, eventualmente conciliandole quando risultino palesemente difformi, ed altri elementi finalizzati al percorso di necessaria convergenza verso gli obiettivi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea. In definitiva, l'oggetto dell'accordo è costituito dalle diverse componenti delle relazioni finanziarie che, nel loro complesso, comprendono e trascendono la misura del concorso regionale. Infatti, gli obiettivi conseguenti al "Patto di stabilità" esterno sono i saldi complessivi, non le allocazioni di bilancio. Per questo motivo, ferme restando le misure finanziarie di contenimento della spesa concordate in sede europea, le risorse disponibili nel complesso della finanza pubblica allargata ben possono essere riallocate, a seguito di accordi, anche ad esercizio inoltrato. Dunque, l'accordo stipulato dalle autonomie speciali consente la negoziazione di altre componenti finanziarie attive e passive, ulteriori rispetto al concorso fissato nell'ambito della manovra di stabilità ed è soprattutto in questo spazio convenzionale che deve essere raggiunto l'accordo previsto dall'impugnato comma 11. Il principio dell’accordo non implica un vincolo di risultato, bensì di metodo (sentenza numero 379 del 1992). Ciò significa che le parti devono porre in essere un confronto realmente orientato al superiore interesse pubblico di conciliare, nei limiti del possibile, l'autonomia finanziaria della Regione con l'indefettibile vincolo comunitario di concorso alla manovra di stabilità. Il dovere di discussione ricadente su entrambe le parti comporta che si realizzi, in tempi ragionevolmente brevi, un serio tentativo di superare le divergenze "attraverso le necessarie fasi dialogiche, quanto meno articolate nello schema proposta-risposta, replica-controreplica" (sentenza numero 379 del 1992). Anche lo Stato, dunque, deve fare in modo che l'attività di concertazione si svolga secondo comportamenti coerenti e non contraddittori, tanto in riferimento ai limiti di accoglimento delle proposte formulate dalle autonomie speciali, quanto in relazione alle possibili alternative da offrire a queste ultime. Ciò senza dar luogo ad atteggiamenti dilatori, pretestuosi, ambigui, incongrui o insufficientemente motivati, di modo che il confronto possa avvenire su basi di correttezza e di apertura all'altrui posizione. Proprio in tema di relazioni finanziarie con le Regioni a Statuto speciale, questa Corte ha avuto modo di censurare un comportamento dello Stato, osservando che "indubbiamente l'inerzia statale troppo a lungo ha fatto permanere uno stato di incertezza che determina conseguenze negative sulle finanze regionali, alle quali occorre tempestivamente porre rimedio, trasferendo, senza ulteriore indugio, le risorse determinate a norma dello statuto" (sentenza numero 95 del 2013). Così interpretata, pertanto, la norma risulta immune dai dedotti vizi di costituzionalità". La sentenza prosegue con altre chicche, nella logica un colpo al cerchio e uno alla botte, ma in una logica statalista, figlia dei tempi. L'esito finale è che la Valle d'Aosta se la prende "nella giacca" in uno dei capisaldi della propria specialità e si prende pure le rampogne della Consulta per non avere fatto, come Trento, Bolzano e Friuli-Venezia Giulia pattuizioni più favorevoli per le proprie Finanze. Prendi e porta a casa, dimostrando che anche la Corte Costituzionale toglie l'acqua al pesce dell'Autonomia speciale. Tempi grami.