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20 feb 2015

Le inquietudini sulla riforma costituzionale

di Luciano Caveri

La politica di questi tempi non trova più una propria dimensione e sembra vivere come in una bolla di sapone. Questo avviene oltretutto in un periodo di crisi di vario genere, che già spingono i cittadini ad un generale senso di sfiducia. Quanto succede a Roma è eclatante, ma anche in Valle d'Aosta non si scherza. Poi non ci si stracci le vesti sull'antipolitica, perché chi è causa del suo mal pianga sé stesso. Ma oggi guardiamo a Roma e alla sostanza di uno scontro che ha dato pure vita a certi spettacoli parlamentari indegni in certi luoghi istituzionali. Ma la sostanza resta tutta politica. Quel che è capitato in questi giorni alla Camera non mi piace. Matteo Renzi ha deciso - in un acuto di politica personalista che sul lungo periodo non gli gioverà - di portare avanti da solo, senza le opposizioni, uscite dall'aula per protesta, le riforme costituzionali. La minoranza ha scelto questa sorta di "Aventino", dopo aver avuto comportamenti nell'emiciclo troppo aggressivi e gli assenti hanno sempre torto.

Insomma: due errori non sortiscono un buon clima e viene da dire, citando un toscanaccio come Renzi, Gino Bartali: «L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare». La riforma costituzionale in atto non la chiede Bruxelles, cui interessano le riforme che abbiano incidenza sull'economia non quelle sulle geometrie istituzionali. Per cui basta con questa storiella che a chiedere la riforma della Costituzione, in questo clima avvelenato e mentre le priorità sono altre, sia l'Unione Europea. La vuole, invece e fortissimamente proprio Renzi per un'operazione di rafforzamento dei poteri di Palazzo Chigi, in una visione di accentuazione del suo ruolo e di un disegno intriso di protervia dello Stato centralista. La strategia renziana prevede l'uso strumentale del referendum confermativo delle modifiche costituzionali, nella primavera del 2016, affinché si rafforzi, con una logica plebiscitaria, la sua leadership con un voto che ne esalti il consenso popolare e lo lanci nell'anno successivo verso le elezioni politiche. Ha ragione su "L'Espresso" in edicola, il costituzionalista Michele Ainis a ricordare come ci sia un ulteriore pasticcio, che riguarda la legge elettorale in corso di approvazione (che vale solo per la Camera come se il Senato fosse già abolito) e anche certi aspetti di incostituzionalità già sanciti dalla Corte Costituzionale sul "Porcellum" e rimasti nell'"Italicum", su cui invita il nuovo Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a vigilare. Le conclusioni dell'editoriale devono far riflettere su certi veleni: "Perché la nuova Costituzione, sommata al nuovo "Italicum", lascia il premier senza contrappesi, senza contropoteri. Per non finire in Sudamerica servirebbe rafforzare il ruolo del Capo dello Stato, servirebbe estendere il sindacato della Consulta, servirebbe un'iniezione di democrazia diretta". Fatemi aggiungere che ci vorrebbe anche un ripensamento su di un regionalismo oscurato da uno Stato che monta in cattedra, buttando via Autonomia e decentramento in favore di un anacronistico e pure pericoloso disegno centralistico. Lo scrivo con preoccupazione: la riforma costituzionale in atto conserva le Autonomie speciali, immaginando una riscrittura dei loro Statuti, che però non sarà per nulla agevole in un quadro di umiliazione del regionalismo vigente. Ma vi è un altro aspetto minaccioso da non sottostimare. Nei voti alla Camera sulla riforma costituzionale il "Nuovo centrodestra" di Angelino Alfano ha prima proposto le macroregioni (addirittura nella versione che comprende - come per il voto delle Europee - pure la Lombardia assieme a Valle d'Aosta, Piemonte e Liguria), poi ha chiesto il voto su di un emendamento - per fortuna bocciato dall'aula - per rendere più facile in Costituzione la fusione delle Regioni (articolo 132) con l'annuncio in aula persino di un parere favorevole sulla modifica del Governo per bocca del ministro Elena Boschi! Intanto - a dimostrazione che sul punto non c'e da stare tranquilli - in Parlamento prosegue l'iter del disegno di legge costituzionale di iniziativa parlamentare che prevede sempre le macroregioni e, per la nostra Valle, la sua fusione e dunque la morte istituzionale con Piemonte e Liguria. Sembra così esplicitarsi una sorta di "fase due" del disegno di una nuova Costituzione, che deve inquietare. Non è allarmismo, ma troppe voci in queste settimane hanno dato il loro assenso a quest'idea bislacca delle macroregioni, che trasformerebbe la nostra Valle nella zona più periferica e abbandonata nel nome dell'... eguaglianza!