Mi fa piacere che sia stata, alla fine, varata a larghissima maggioranza dal Consiglio Valle - definizione da usare sempre per la sua specificità - una riforma degli Enti Locali della Valle d'Aosta equilibrata e da riempire di contenuto con delle buone pratiche. Lavorare assieme, pur con degli obblighi, non è "darwinismo istituzionale" con i più piccoli mangiati dai più grandi, come avviene invece con logiche soppressive dei Comuni. Ho in mente, come se fosse oggi, quella riunione del gruppo dell'Union Valdôtaine in cui, fra le "varie ed eventuali" come sempre avveniva per i temi davvero cruciali, l'allora ed attuale presidente, Augusto Rollandin, annunciò in modo spiccio - come se si trattasse di schiacciare un brufolo - che le linee guida della riforma nazionale sarebbero state applicate anche in Valle d'Aosta con - mio pensiero sin da subito - sfracelli per il nostro sistema autonomistico. Intervenni chiedendo il tempo necessario e ribadendo, come poi alla fine si è dimostrato, che andava difesa la nostra competenza esclusiva (articolo 2 dello Statuto speciale) in materia di ordinamento degli Enti locali. Riforma costituzionale, che ebbe una serie di tappe di avvicinamento, e che portai a casa da deputato per la nostra autonomia speciale e per le tutte le altre (la Sicilia già l'aveva, ma con un uso limitatissimo). Non voglio medaglie, perché per fortuna tutto è scritto negli atti parlamentari che non possono essere "sbianchettati", ma mi infurio se poteri e competenze della nostra autonomia vengono, come avviene sempre più spesso, calpestati a seguito di una misteriosa "ragion di Stato" di chi si mostra autonomista a denominazione di origine protetta e poi, al momento opportuno, se ne dimentica per chissà quali "do ut des". Ma la storia dell'applicabilità in tutto o in parte proseguì e ne furono interpreti anche alcuni Sindaci fedelissimi, che poi saranno rimasti straniti, ma egualmente obbedienti, dal cambio di rotta deciso in piazza Deffeyes: un'inversione "ad U" senza particolari spiegazioni. Non ne hanno bisogno nella politica valdostana quelli che seguono i diktat, passando dal rosso al verde, come se fossero dei semafori e rimanendo sempre e egualmente proni. Questo è l'aspetto più deprimente. Negli anni, a proposito delle dinamiche nel mio "fu Mouvement", ho conosciuto degli incendiari da bar, che cambiavano il mondo come gli amici della celebre canzone di Gino Paoli, poi quando si veniva al momento di mostrare i muscoli si afflosciavano sulla sedia e sceglievano, come atto di ribellione estrema, il silenzio. Magari, dopo la riunione, chiedevi loro spiegazione sul mutismo inatteso e scoprivi che quel "silenzio assordante" (ossimoro sempre espressivo), che a me sembrava solo "silenzio e basta", doveva essere considerato gravido di significati reconditi, che io - che invece sembravo ormai nell'UV un grillo parlante - non capivo bene. Acqua passata, naturalmente. Mai guardarsi indietro, non perché ci si trasformi in una statua di sale come Lot, la nipote di Abramo, che si voltò a guardare la città di Sodoma, ma perché la politica obbliga a guardare avanti. Le trasformazioni costringono a non indugiare e a non baloccarsi con vecchie questioni, il che naturalmente non vuol dire affatto dimenticare o piegare i fatti del passato ai propri desideri. Il sistema autonomistico valdostano, che come una fisarmonica si apre e si chiude fra le vicende esterne a Roma e Bruxelles e la riflessione interna sulle nostre Istituzioni regionali e comunali, si trova oggi di fronte alla necessità di cambiare di fronte a scenari impressionanti (si pensi alla finanza pubblica), che obbligano a giocare su tavoli nuovi e ad essere inventivi. Per cui, alla fine, questa riforma conta non solo per le norme che sono state scritte, ma per lo sforzo applicativo, che deve comprendere ancora il pezzo della legge elettorale, specie sui numeri dei rappresentanti elettivi in Consiglio e Giunta, oltreché è bene una doverosa riflessione su quanto e come debba dosarsi l'uso dell'elezione diretta del sindaco. Da una parte questa scelta per tutti i Comuni valdostani ha stabilizzato le amministrazioni, dall'altra però ha creato, specie ma non solo nei Comuni più piccoli, rischi di "cesarismo" nel primo cittadino e di disimpegno degli altri eletti "schiacciati" da questa figura. La democrazia deve vivere di migliorie.