«E' una ben povera memoria quella che funziona solo all'indietro». Così ha scritto il bizzarro e controverso autore che fu Lewis Carroll, quello di "Alice nel Paese delle Meraviglie". E' quella da lui scritta una storia fantastica, che tende anche a rendere grottesco il concetto di tempo. Ci pensavo rispetto all'odierno "Giorno della Memoria", che votai alla Camera dei deputati (c'è nei resoconti un mio intervento), che è una ricorrenza internazionale che è commemorazione delle vittime del nazismo, in particolare dell'Olocausto (ebrei ma non solo) e per ricordare chi ebbe il coraggio di proteggere i perseguitati. Quindi ricordo anche mio papà, definito come "giusto" dalla comunità ebraica di Torino per aver accompagnato ebrei in fuga verso la Svizzera, talvolta ospitati a casa dei miei nonni in via Sant'Anselmo ad Aosta. La data coincide con la liberazione da parte dei russi del campo di sterminio di Auschwitz (che mio padre - paradosso delle vicende personali - vide con i suoi occhi di militare italiano imprigionato), allora territorio annesso alla Germania e oggi in Polonia, avvenuta proprio il 27 gennaio 1945. Noto che la ricorrenza è entrata nella coscienza comune e molti ne parlano e ne scrivono. Per fortuna, pensando alle teorie revisioniste e negazioniste, che vogliono riscrivere vicende storiche purtroppo ben note e largamente documentate. E lo fanno non solo in modo subdolo, come chi cerca di edulcorare verità che creano angoscia nel solo rievocarle, ma anche con la violenza dei neonazisti e dei neofascisti di oggi, per i quali i delitti di allora sono un vanto. Questo atteggiamento da lobotomizzati ci deve servire, esattamente per una reazione civile, ad avere una memoria non solo come elemento rievocativo, ma come "va e vieni", che attraversi il tempo e ci ponga - qui ed oggi - di fronte alle nostre coscienze. Conosco il giochino al rialzo: e i "gulag", e Pol Pot, e gli armeni, e i palestinesi e, e, e... Ognuno ha una aggiunta da fare o in buona fede o in malafede. Compartecipo all'idea che certi orrori sono memoria, ma assieme ammonimento. Quei morti sono vivi perché ci ricordano che l'umanità partorisce anche degli orrori e non è solo una circostanza passata. Ma attenzione: l'Olocausto e dintorni - per la spietatezza di un piano, che fu condiviso da larga parte del popolo tedesco - ha una sua singolarità tremenda e sconvolgente. Ad Auschwitz ho pianto tutte e tre le volte che ci sono stato e non solo perché riscontravo certi ricordi paterni e per il coinvolgimento emotivo. Ma anche perché - maledizione! - quei fatti, in luoghi che parlano da soli, sono una chiave di lettura, che mi aiutano come antidoto contro il pericolo, sempre incombente, delle dittature. Ma appunto senza mai dimenticare quanto il nazismo sia riuscito a fare, incarnando - in un unicum che toglie il fiato - il Male assoluto.