La maledizione è nota e riassumibile in una formuletta da appiccicarci addosso: «ricchi e privilegiati». La Valle d’Aosta che, in termini di bilancio, è in Italia come una goccia nel mare si trova - assieme alle altre "Speciali" - quale "pecora nera". Tocca giocare sulla difensiva (ma, per carattere, io sono offensivo) e incrociare le dita perché il Parlamento - a dimostrazione, come ho sempre detto, che il federalismo è ben diverso dalla nostra fragile autonomia speciale - potrebbe abrogare l'articolo 116 e lo Statuto di autonomia conseguente. Nella migliore delle ipotesi diventeremmo una Regione ordinaria, comandata da Roma con il ritorno in gran pompa di un "Signor Prefetto" o, scenario peggiore, potremmo diventare una Provincia di Torino. A condizione che possa vivere una Provincia in tempo di abolizioni delle Province… Mi pare che l'azione della maggioranza regionale, che esprime anche i due parlamentari, sia coraggiosa come i pesci di un acquario, chiusi fra le proprie mura di vetro e incapaci di interagire con l'esterno. A Roma non ci ascoltano. Ecco perché, a fine anno, ho seguito, con un umore torvo, la sceneggiata - esemplare della situazione in atto - del decreto che, dopo una prima battuta d'arresto, sta per "sanare" il rosso catastrofico del bilancio di quella che è - con una scelta sciagurata - ormai "Roma Capitale", ottenendo uno status giuridico che, più di ogni altra cosa, ha implicato più soldi. Sul "Fatto Quotidiano" del 28 dicembre aveva scritto Marco Palombi: "quant'è il debito storico? Per anni non si è avuta una stima ufficiale. Alemanno lo quantificò inizialmente in 8,6 miliardi di euro: 6,8 di debito storico, spesso risalente al contenzioso urbanistico degli anni Cinquanta o ai mancati trasferimenti per il trasporto locale, il resto "extra" (cioè nascosto da Veltroni, dice il centrodestra). Poco dopo, il sindaco cambiò idea: il buco è di 9,6 miliardi sostenne - nel dicembre 2008 - l'allora assessore al bilancio Castiglione; nel 2010 il suo sostituto, Maurizio Leo (che poi perse il posto pure lui), lo quantificò addirittura in 12,3 miliardi. Quando quest’anno è finalmente arrivata in Parlamento la relazione ufficiale del commissario Varazzani, il quadro era questo: un debito complessivo di 22,4 miliardi di euro a fronte di crediti per 5,7, cioè un buco di 16,7 miliardi compresi gli oneri finanziari. Per i numeri che ci interessano, insomma, il debito vero - cioè netto - del comune di Roma si aggirava sui dieci miliardi di euro, oggi ridotti a otto e mezzo, e il suo ammortamento ai ritmi attuali è garantito solo fino al 2017, dopo bisognerà aumentare le rate (ma ancora non si sa come)". Eccoci alla conclusione sull'urgenza: "Ma allora perché c'è bisogno di "salvare" Roma subito? Semplice: perché il debito non ha smesso di accumularsi nemmeno in quella che doveva essere la "good company", cioè nella gestione ordinaria dal 2008 in poi. Secondo l'agenzia di rating "Fitch", durante i cinque anni della giunta Alemanno i deficit annuali complessivi ammontano a oltre un miliardo di euro e questo nonostante i romani paghino da tempo un'addizionale "Irpef" doppia rispetto a prima (dallo 0,5 allo 0,9 per cento), un bel po' di Imu sulla casa e una tassa di imbarco aeroportuale da un euro che colpisce chiunque passi dalla Capitale. Per Ignazio Marino, invece, il debito attuale è un po' inferiore: 867 milioni, che comunque mettono a rischio la capacità del Comune di pagare gli stipendi e garantire i servizi. Tradotto: default e commissariamento". Scusate le lunghe citazioni, ma le cifre in ballo, che sono poi uno dei mille casi che si potevano fare, dimostra che chi guarda ai nostri conti - con il cipiglio con cui si additano dei colpevoli - dovrebbe vergognarsi. E così dovrebbero fare quelli che, facendo finta di niente, hanno pure il coraggio - e quando Giovanni Malagò, nuovo presidente del "Coni", lo ha detto ad Aosta nessuno ha eccepito nulla - di lanciare Roma come candidata per le Olimpiadi del 2024. E' istruttivo vedere che cosa è capitato nella città per i Mondiali di calcio di "Italia '90".