Cerco di leggere sul federalismo quel che la saggistica propone di nuovo: è un tema che mi ha sempre appassionato e di cui ho parlato e scritto tante volte. Per la politica valdostana, il pensiero federalista dovrebbe essere un elemento di riconoscimento e di orgoglio. Ma, come in tutte le cose, per quanto i fondamentali siano sempre gli stessi, in una specie di dizionario ormai stazionario del federalismo, gli elementi cardine non sono un'ideologia astratta, ma strumenti concreti che vanno applicati alla realtà politica e istituzionale, che è dinamica per natura. In questi giorni, con tempi piuttosto lunghi per la pubblicazione, è uscita la raccolta di interventi svolti in un convegno sul tema "Quale federalismo per l'Italia di oggi?", tenutosi all'Università di Firenze nel novembre del 2011. Da ritagliare, anche per la preveggenza per quanto sta capitando di questi tempi, è il contributo del professor Carlo Fusaro, che insegna, proprio nel capoluogo toscano, Diritto elettorale e parlamentare. Nel parlare del tema "Il federalismo italiano ovvero la difficile ricerca di un equilibrio "impossibile", l'autore usa argomenti che condivido in pieno e che, tra l'altro, mi sembrano accentuati in un'Italia dove a fine anno c'è stata una raffica di nomine di nuovi Prefetti - simbolo vivente del centralismo statale - e dove cresce l'idea del monocameralismo, non facendo più del vecchio Senato l'auspicata Camera delle Regioni. Una previsione di soppressione tout court, che sarebbe nociva per le autonomie, pensando proprio ai modelli federalisti, dove la seconda assemblea parlamentare è quella che radica la democrazia locale come espressione "nazionale". Sul clima in Italia, Fusaro ha scritto: "Il punto è che si avverte oggi il rischio di una percezione alterata della grande crisi finanziaria che sta turbando l'Europa e che ha colpito l'Italia in particolare e perciò anche il corrispettivo rischio che ad essa si diano risposte per niente nella direzione del cosidetto. federalismo, dopo esserci riempiti la bocca di parole d'ordine federaliste, dalla Lega alla destra e al centro-sinistra". Poi l'affondo: "Questo rischio consiste nel fatto che tutte le radicate e profonde tendenze centralistiche, certo mai dome, riemergano irresistibili, approfittando dell'ennesima emergenza (...)". E più avanti, citando un altro passaggio: "Ciò che io temo (e di cui vedo segnali preoccupanti) è che si rinnovi una commedia degli equivoci e che si torni a confondere unità con centralismo e uniformità; mentre non solo si potrebbe, ma io dico molto meglio si dovrebbe, conciliare unità con autonomia, differenziazione, e quindi libertà". Naturalmente l'intervento ha un suo sviluppo che parte dalla storia e si chiude su qualche timida speranza: "Consapevole che senza larghe autonomie tendenzialmente federali non c'è crescita e non c'è prospettiva di convivenza unitaria e che autonomia e federalismo, come la democrazia, si imparano solo praticandoli, non rimandandoli a tempi migliori". Il neocentralismo si sta attrezzando per aumentare di quantità il già ben vivo centralismo: altri partecipanti all'incontro di Firenze, così si legge, compartecipano a questa medesima preoccupazione. Insomma: antenne dritte per un'autonomia storica come quella valdostana. Il rischio è, come mi pare stia avvenendo, di farsi mettere all'angolo e di finire KO. Meglio reagire che subire e tacere.