Il rimpianto Gustavo Buratti (Tavo Burat), intelligente ed eccentrico federalista piemontese, esperto enciclopedico delle minoranze linguistiche, ha scritto - una quindicina di anni fa - un articolo molto ricco di notizie per l'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli sulla Dichiarazione di Chivasso, adottata settant'anni fa come oggi. Così raccontava: "Il 19 dicembre 1943 a Chivasso si svolse un convegno clandestino per fare il punto sulle proposte della Resistenza sulle autonomie alpine. Si scelse Chivasso perché a metà strada per coloro che provenivano dalle valli valdesi (Pinerolese) e per i valdostani, e perché c'era la casa del geometra Edoardo Pons (egli pure valdese), zio della moglie di uno dei convenuti, Giorgio Peyronel. Il geometra Pons non conosceva la vera ragione di quell'incontro, che non gli venne rivelata, soprattutto per la sua sicurezza. Ufficialmente la riunione doveva apparire dovuta alla stesura di un atto notarile davanti ad un notaio (il valdostano dottor Émile Chanoux), con la collaborazione tecnica di un geometra. Come sottolineano infatti Peyronel e Osvaldo Coïsson, in quei momenti qualsiasi riunione di più persone era sospetta ed era regola fondamentale avere sempre una motivazione ineccepibile da presentare anche alla gente comune. I vari gruppi della Resistenza avevano autonomamente elaborato alcuni documenti che andavano confrontati. Coïsson ricorda che Rollier era arrivato da Milano con i suoi testi da dibattere che estrasse dai calzini; e che egli stesso, rientrando, usò il medesimo sistema per evitare seri guai in caso di perquisizione da parte della polizia". Spiega poi Burat: "A quell'incontro parteciparono dalla Valle d'Aosta il notaio Émile Chanoux - che pochi mesi dopo morirà nel carcere fascista - e l'avvocato Ernest Page; mentre il professore Federico Chabod, dell'Università di Milano, aveva inviato un suo documento, e un altro valdostano, Lino Binel, molto interessato a quella tematica, non era potuto venire perché in carcere; per le valli valdesi erano presenti Osvaldo Coïsson e Gustavo Malan, venuti da Torre Pellice, ed i professori Giorgio Peyronel e Marco Alberto Rollier, rispettivamente dell'Università e del Politecnico di Milano". Sia Malan che Coïsson, con cui ho parlato molte volte, mi hanno confermato - ma non ne so di più - di un ruolo di collegamento fra valdostani e valdesi, dovuto a legami di amicizia della mia famiglia. Osserva ancora Burat: "La "Dichiarazione di Chivasso" è una pietra miliare nella storia dell'idea federalista italiana, così come il "Manifesto" redatto in quel medesimo 1943 da un gruppo di uomini politici antifascisti confinati a Ventotene (tra i più autorevoli, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli), con il quale nacque il Movimento federalista europeo, che ebbe, già nella Resistenza, il suo organo a Milano nella rivista clandestina "L'unità europea". Le tesi di Chivasso furono rielaborate da Émile Chanoux nel saggio "Federalismo e autonomie", uscito clandestino nel 1944 nella serie "Quaderni dell'Italia Libera" del Partito d'azione"". Nei testi preparatori e nella Carta vera e propria c'è il federalismo, l'autonomismo, i problemi delle minoranze linguistiche e della montagna, l'identità alpina e il respiro europeista. E' un documento da rileggere, persino profetico in certi passaggi. Non bisogna farne la caricatura o piegarlo alla retorica, specie da parte di chi anche da noi ne esalta i valori per poi calpestarli, ma sapere che quel passaggio storico - in un momento terribile e buio della storia contemporanea - ha valore se non è una carta da museo, ma è un elemento ispiratore per il federalismo di oggi. Anche in Valle d'Aosta: per fare di certe pagine il lievito per il pane fresco di oggi.