Solo il 2 giugno del 1946, in occasione del voto congiunto sul referendum fra Monarchia e Repubblica e per l'elezione dei membri della "Costituente", l'Italia giunse, in grave ritardo rispetto ad altri Paesi, al voto con suffragio universale, allargando alle donne quel suffragio solo maschile che era stato introdotto nell'ordinamento italiano nel 1912. La maggior parte delle persone sembrano non aver consapevolezza del poco tempo trascorso da questa conquista. Il diritto di voto per tutti i cittadini è stata in effetti una lenta conquista democratica alla ricerca di meccanismi partecipativi, che hanno sempre avuto come caposaldo il concetto di eguaglianza. Si tratta di una storia inanellatasi per millenni e che solo nel diritto costituzionale più recente ha avuto una soluzione giuridica con un voto, senza "se" e senza "ma", per ciascun cittadino, che consente tra l'altro la duplice formula di elettorato attivo e passivo. Il diritto di votare e quello di poter essere eletto.
Spesso, anche in questa campagna elettorale, ci si domanda che cosa non abbia funzionato e come mai il voto finisca essere vittima di meccanismi populistici e demagogici, per non dire di un uso delinquenziale della compravendita di voti con denari o clientele, che sono situazioni lontane mille miglia da quella cittadinanza consapevole, connessa naturalmente ad un diritto così importante. Un primo capro espiatorio sono i meccanismi elettorali: i sistemi di voto possono essere buoni o cattivi e finiscono per violare questo principio egualitario in varie forme. Le liste bloccate impediscono le scelte popolari a favore delle designazioni partitiche, i voti di preferenza possono violare - in caso di cattivo utilizzo - il principio della segretezza del voto, l'elezione diretta a tutti i livelli rischia di mortificare le Assemblee a beneficio degli Esecutivi e via di questo passo. Ma forse il problema è un altro ed è ancora più complesso e riguarda la figura stessa del cittadino, posto davanti a uno specchio, a riflettere sull'insieme complesso di diritti e doveri che sono caratteristici di una democrazia matura. Troppo spesso ci si accorge di come manchi una reale consapevolezza della cittadinanza come patrimonio fatto di conoscenze e di esercizio delle proprie prerogative. E' vero che la democrazia comporta anche una scelta di disinteresse. Spesso, a questo proposito, si citano i tassi di astensionismo di antiche democrazie, come quella svizzera o quella americana. Ma una scelta di questo genere, che venga motivata da una logica di un agnosticismo politico come forma consapevole di disimpegno, non ha nulla a che fare con un uso disinvolto e distratto del proprio diritto di voto. O perché - e lo constato ogni giorno - mancano le basi elementari che consentono di comprendere per cosa si voti. O perché la scelta risulta non essere davvero consapevole, ma segue meccanismi di interesse, di spinta esterna, di povertà intellettuale. Questo ragionamento non spinge ovviamente, sarei un matto, a chissà quale visione élitaria del voto, ma semmai ci obbliga ad interrogarci sul perché manchi in tanti quella consapevolezza e quella maturità civica che sembrava dovessero venire a seguito dell'ottenimento dei diritti e doveri di cittadinanza. Non ho una risposta certa e la crisi della democrazia rappresentativa obbliga a pensare se siamo di fronte a chissà quale in perscrutabile passaggio epocale, se le nuove tecnologie stiano travolgendo prassi normali di funzionamento delle istituzioni, dove e come si possano immaginare contromisure per avere una cittadinanza più attiva. Resta intatta l'idea, ma che poi viene smentita da molti fenomeni di malcostume, che dove ci sono piccoli numeri, come in Valle d'Aosta, risulti più facile reagire e trovare soluzioni che ridiano slancio alla democrazia in crisi. Vedremo l'evoluzione.