Oggi è la "Giornata della Memoria" e io la coltivo. Sulle tracce di una parte della dolorosa prigionia del nonno Sandro, durata dal settembre 1943 al maggio 1945, ho già portato, anni fa e separatamente per stare loro vicino come "guida", i miei figli grandi ad Auschwitz-Birkenau, oggi Polonia e allora territorio annesso al Reich. Se il destino me lo consentirà, fra una dozzina d'anni, come già è avvenuto per Laurent ed Eugénie, porterò lì in visita anche Alexis. Ritengo che per un ragazzino sia una vaccinazione a favore della democrazia e non è un caso se da Presidente organizzai viaggi di scolaresche di giovani in quei luoghi tetri e purtroppo esemplari di una delle pagine più atroci della storia contemporanea. Quei luoghi, terribili e evocatori, sono impregnati dell'orrore dell'Olocausto e ogni libro nuovo che leggo sulla Shoah aggiunge elementi di riflessione per capire l'incomprensibile: come il popolo tedesco consentì, addirittura con l'uso del voto, al nazismo di Adolf Hitler di dispiegare un progetto folle di supremazia mondiale, di cui lo sterminio degli ebrei era parte integrante. Studiare come avvenne la pianificazione e lo svolgimento di questo progetto delirante e orribile accende un faro sulla natura umana, capace di far diventare routine il più terribile dei comportamenti. Vorrei dire che cosa resti in me di quei luoghi, come evocato dai racconti di vita vissuta di mio padre e anche in un piccolo diario che ho depositato negli archivi dell'Istituto storico per la Resistenza. Rimane lo sconcerto di una gigantesca macchina per uccidere: dai treni in arrivo venivano già scartati quelli inidonei al lavoro e finivano subito nelle camere a gas, tutti spogliati e rasati e infilati nelle loro divise di detenzione diventavano un numero a un certo punto tatuato su di loro, in varia misura - affamati, maltrattati e terrorizzati - dovevano perdere la dignità di esseri umani per poi finire nel ciclo industriale della morte. Prima gassati e poi bruciati nei fornì e in mezzo ci stanno quelle vetrine che si trovano ad Auschwitz: i capelli che servivano per diverse produzioni, gli occhiali e i giocattoli riutilizzati per la popolazione civile, le protesi delle persone disabili e via di questo passo. Sappiamo che sui cadaveri venivano persino rimosse le protesi dentarie in oro. Tutta una destra estrema ha coltivato la tesi del negazionismo, fino a dire che l'Olocausto non è mai esistito, e mio padre, deportato assieme ad altre decine di soldati valdostani, ne soffriva: un prete polacco da un collinetta sulla Vistola, da cui si vedeva il campo, pochi giorni dopo l'arrivo, gli spiegò che quelli con la divise a strisce - che loro chiamavano la "Juventus" per ridere - venivano eliminati ed erano il fumo che usciva dai camini del campo. Così, molto privatamente, per me il "Giorno della Memoria" serve a ricordare Sandrino, mio papà poco più che ragazzo che la Storia scagliò lassù. Al ritorno disse a mio nonno che avrebbe lasciato Giurisprudenza, dopo aver visto con i suoi occhi che il Diritto era un'invenzione. Non c'erano soldi per Medicina e scelse Veterinaria. «Meglio gli animali che gli uomini», commentava ogni tanto e sapeva bene il perché.