Le dimissioni sono sempre e anzitutto un fatto personale e spetta a chi le ha date - se vuole - spiegarne le ragioni. Così è anche per la scelta di Robert Louvin di lasciare il Consiglio Valle. Trovo insopportabile chi si fa interprete del pensiero altrui e spiega in queste ore la nobiltà del gesto, specie quando questo serve per sparare nel sedere ad altri. In italiano di chiama "strumentalizzazione" e non è un granché per chi la adoperi. Conosco Robert da una vita, le nostre vite, visto che è un po' più giovane di me e ci incrociammo ai tempi della scuola, dei primi vagiti in politica e poi negli anni successivi, quando eravamo due "cavallini di razza" nello scenario locale. In fondo siamo invecchiati ognuno con la sua storia istituzionale e professionale e - facendo le corna - credo che siamo ancora piuttosto giovani per dovere fare i reduci e vivere di soli ricordi. Specie quando in Italia e in Valle d'Aosta sono i sessantenni e i settantenni a cavalcare il rinnovamento, come dimostrato dall'ultima star del firmamento politico italiano, Mario Monti. Louvin ha vissuto due vite parallele: la carriera politica con molti successi e qualche amarezza e quella forense e accademica, che lo ha portato a dar lustro alla Valle d'Aosta nel campo - così utile per noi - del diritto costituzionale. In passato - e me ne dolgo - l'ho un po' sfottuto sulla sede universitaria di Cosenza, dove insegna, ma mi ha sempre reso, con la sua oratoria fuori dal comune, pan per focaccia. Ma incrociare dialetticamente le spade è sempre stato un piacere e sono certo che le occasioni non finiranno qui, qualunque sarà il luogo del nostro futuro conversare. Comunque la si pensi e la si veda, resta chiaro che la qualità personale e lo spessore culturale in politica non possono essere considerate un optional di cui si può fare a meno in un'ipocrita logica popolaresca che non dovrebbe operare distinzioni nel nome di un egualitarismo che è la versione farlocca dell'eguaglianza. Invece ci sono, eccome! E risulterebbe più snob chi facesse finta di niente, come se il politico non fosse un mestiere, pur temporaneo, che prevede competenze e conoscenze.