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08 dic 2012

Pensieri in solitudine

di Luciano Caveri

Le camere d'albergo mi hanno sempre inquietato nei lunghi soggiorni a Roma al "Colonna Palace" davanti a Montecitorio e poi negli impegni degli ultimi anni a Bruxelles (solo quando ero al Parlamento europeo avevo affittato una casa). Questi "soggiorni freddi", che nulla hanno a che fare con la gaiezza del soggiorno alberghiero in vacanza, sono forieri di riflessioni in quella strana solitudine di un luogo anonimo per eccellenza in cui manca il rassicurante perimetro familiare. Ci si ritrova soli come su di un lettino di uno psicoanalista senza lo psicoanalista a pensare a tante cose. Così, in questo tournant della politica valdostano, riflettevo sugli anni trascorsi in politica e su quanto siano sbagliati certi "boatos" - maliziosi o in buona fede - che riportano tutto alla cadrega o al cadreghino che dir si voglia o a un correntismo riferibile a Tizio o Sempronio. Io non ho capicorrente e diffido da tempo dei leader carismatici nell'accezione politologica dell'espressione. Aggiungo anche di non essere frustrato, anzi penso di essere stato in qualche modo fortunato. Ritengo - per spiegarmi meglio - di aver avuto un vantaggio, quello di aver avuto la possibilità in questi anni di alzare il piede dall'acceleratore, dopo la lunga corsa "Camera dei Deputati - Parlamento europeo - Regione" (prima assessore e poi presidente). E' vero che ho continuato a fare il mio dovere di consigliere semplice e mi sono sforzato di svolgere al meglio gli incarichi europei e quello nella "Commissione Paritetica", ma ho avuto modo di rallentare e di tirar su la testa da quella full immersion del tutto assorbente di oltre un ventennio. Questo ha voluto dire riprendersi spazi di affetti e di amicizie, avere più tempo per leggere e per studiare, guardare le stesse cose con meno pathos e più straniamento. Tutti elementi salutari che mi hanno migliorato la vita e forse smussato certe asprezze - non tutte! - del mio carattere. Ecco perché oggi sono più zen, tranne rare e rapide incazzature, e questo mi rafforza in un ottimismo pur sempre presente, come elemento costituzionale, anche nei passaggi più difficili e talvolta dolorosi. Con l'età cresce una capacità di riflessione - penso che sia la famosa maturità, che non è solo un pezzo di carta - che consente di dare alle proprie azioni e alle proprie speranze un ritmo meno incalzante, di avere meno batticuore. Lo dico notando proprio che una volta non riuscivo a prendere il respiro necessario per il piacere dell'adrenalina in circolo e avere l'indispensabile serenità da cui deriva la sicurezza. Non sto preparando un manualetto sul "self control" o da teoria motivazionale, ma osservo di non avere ansie o paranoie attorno al mio futuro, che sia in politica o altrove. Questo è perché troverei vergognosa e turpe questa figura del politico trafficone e "sempre in piedi", che non mi appartiene. Anzi, oggi considero - nella confusione ideologica che ci invade - che la moralità pubblica sia il punto di forza di chi si avvicina alla politica. Poi uno può essere simpatico o antipatico. Anzi spero che non si dirà mai di me quel che diceva il caustico Totò: «era un uomo così antipatico che, dopo la sua morte, i parenti chiesero il bis».