Nessuno discute sulla necessità, anche in Valle d'Aosta, di accettare l'austerità e di individuare ogni possibile forma di risparmio. Un trentennio di "ricchezza" del Bilancio regionale, dagli anni Ottanta ad oggi, è stato preceduto da un trentennio di "povertà". Per cui questa storia di un'autonomia ricca e privilegiata va comunque sempre temperata e le crescenti risorse degli "anni d'oro" hanno corrisposto alla scelta di autofinanziare settori costosissimi come sanità ed assistenza sociale, scuola ed università, strade ed opere pubbliche, "Protezione civile" ed assetto del territorio, oltre ad una serie di regionalizzazioni di servizi altrove statali come Vigili del fuoco, Corpo forestale e Motorizzazione civile. Insomma: l'ordinamento finanziario nel suo complesso ha portato anche, com'è giusto che sia, ad un aumento del perimetro dell'autonomia politica e amministrativa con costi crescenti facilmente documentabili. Ovvio che ci sia stato un rovescio della medaglia: un aumento dei dipendenti pubblici, un accrescimento del mondo delle partecipate, una logica di leggi di spesa con un interventismo regionale a pioggia nell'economia, una bulimia di manifestazioni e di convegnistica, un aumento dei costi complessivi della politica e altri aspetti - tipo la rinascita della "Camera di Commercio" - su cui si potrebbe discutere. Devo dire - e io l'ho fatto nelle mie responsabilità - che sono temi su cui ho spesso riflettuto in vista di epoche difficili di dimagrimento e di razionalizzazione. Bisogna certo essere pronti ai sacrifici e ai tagli, ma con una fondamentale avvertenza. Si tratta del principio del coinvolgimento nelle scelte, che non possono essere calate dall'alto, e della determinazione autonoma del da farsi senza l'uso strumentale della crisi economica e della ghigliottina del patto di stabilità o dei cavilli da "spending review". Soprattutto non va bene che il calo della spesa pubblica penetri come un veleno che vuole in realtà uccidere la nostra autonomia speciale e quell'indissolubile legame fra scelte politiche e risorse finanziarie. Ricordando che siamo minoranza linguistica e questo implica una tutela specifica, zona di montagna con i problemi connessi e Regione su cui pesa la piccolezza delle dimensioni che obbliga a garantire servizi che costano di più. Dal punto di vista interno questo significa scegliere fra utile e inutile, fra indispensabile e superfluo, fra sociale e interessi particolari, fra investimenti necessari e opere rinviabili. Questo significa anche una classe politica di qualità: in certi casi e in tutti gli schieramenti la politica ha attirato gente simpatica ma senza le basi, aggregatori di voti, furbetti del quartierino, amici degli amici. La politica è studio e fatica, analisi dei dossier, confronto con tecnici e dirigenti, equilibrio fra attività "panem e circenses" e leggi ben scritte, politica pura fatta di idee e azione amministrativa quotidiana, rapporti con Roma e Bruxelles. Cose difficili e questo obbligherà a riequilibrare il "rapporto Giunta-Consiglio" e a spingere la Giunta a logiche di condivisione "Presidente-Assessori" ed a valorizzare le autonomie locali come snodo di rapporti democratici contro un centralismo regionale e aostano. Un passaggio molto stretto e rispetto al quale gli errori più grandi sarebbero: capitolare con troppa facilità a violazioni dei nostri diritti, far finta di niente e finire spennati piuma dopo piuma, essere solo difensivi e non essere invece offensivi sullo scacchiere politico. Il bizzarrissimo economista inglese, di cui tanto si parla nella logica di impegno pubblico per il rilancio dell'economia, John Maynard Keynes, ha scritto: "La difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie".