Insomma: la Costituzione del 1948 e successive modificazioni migliorative sul regionalismo è stato tutto un errore. Così inchieste, editoriali, calcoli e percentuali vanno ormai tutti in una stessa convergente direzione: «viva lo Stato centrale - come se in 150 anni avesse fatto faville - e a morte il regionalismo!» E sul pennone più alto impicchiamo le autonomie speciali senza distinguo: «tutti farabutti e la smettano di frignare. Specie quegli autonomisti buoni solo a deprimere lo spirito nazionale! Siamo o non siamo in Italia! Che cosa si credono?». Sull'onda dello sdegno per i soliti "rubagalline" vengono buttati in pasto al popolo due concetti chiave: «politici schifosi e corrotti» e «politica locale inetta e sprecona». Peggio di tutti: «parassiti inutili». Procediamo con la ghigliottina non verso una rivoluzione ma verso una restaurazione. Strano ma vero. Così gli italiani sono pronti al ribaltone. Non si sa cosa sia e dove porti, ma l'importante è partire: «Partiam, partiam e poi per strada aggiusteremo il tiro». Lo Stato nazionale «puzzone», che doveva essere ribaltato come un calzino in nome della sua inefficienza e incapacità diventa «il Salvatore» e il federalismo tramonta portandosi dietro il regionalismo e persino il municipalismo. Tutto in discarica senza distinguo: tutti brutti e cattivi. Roma torna il centro del dibattito politico e da simbolo vivente di un centralismo pezzente e corrotto diventa una rosa pregna di rugiada con una nuova vita da lasciar sbalorditi. Come se tornassimo da un lunghissimo viaggio su Marte e trovassimo un mondo alla rovescia. Roba da prendere l'astronave e ripartire. Il vecchio vizio italiano del trionfo dei voltagabbana e degli opportunisti splende come un sole sulla nuova Italia. Peccato che questo sol dell'avvenire non sia un'alba ma un tramonto creato da chi cambia sempre idea, segue i vantaggi correnti e accarezza l'opinione pubblica dal verso giusto. Coerenza e credibilità per le cose dette non contano nulla: vincono l'oblio e la capacità di riciclarsi, contando sulla scarsa memoria degli italiani e sul vizio di indignarsi in modo cieco senza sforzarsi di capire come stanno le cose. Bisogna seguire passioni, indignazioni, mode. Ragionare poco. Che tutto questo sia sintomo di una democrazia debole e indecisa poco importa: si deve ragionare con il bassoventre. E la Valle d'Aosta? Bruno Vespa ridacchia dei nostri sacrifici e rilancia in televisione il motto: «chiudiamo le speciali». Tam-tam che percorre la Penisola e questi valdostani, piccolini e ininfluenti, non rompano. Basta con la presenza di questa autonomia "ricatto dei francesi". Basta soldi e diversità di qualunque tipo. Aboliamo tutto, abroghiamo tutto, azzeriamo tutto. Viva l'Italia! Chissà i Savonarola infervorati dov'erano pochi anni fa quando il federalismo era la nuova religione. Fortuna che ho sempre detto: non fidiamoci e prepariamoci a tempi grami, che sono arrivati, in cui dovremo dimostrare «se siamo uomini o caporali». Io la luce dell'autonomia non collaborerò a spegnerla e criticherò senza dubbio alcuno tutti quelli che chineranno la testa ai diktat di Roma anche quando violano i nostri diritti. Che abbiano il coraggio di cancellare Statuto e Regione autonoma piuttosto che continuare con questo stillicidio vigliacco. Ammoniva Émile Chanoux: «les Valdôtains sont un peu trop tranquilles, même quand il s'agit de leurs intérêts les plus vitaux». I tremendi tagli finanziari e la messa in discussione di competenze decisive saranno già uno «sveglia bauchi!».
(Scusate lo sfogo).