Ho già raccontato in passato di quanto mi disse l’allora presidente della Catalogna, Jordi Pujol, quando lo incontrai per la prima volta a Barcellona. Era il suo un racconto divertito di come, alla fine degli anni Cinquanta, con gran arrabbiatura della moglie, decise di dedicare il suo viaggio di nozze ad un tour nel Tirolo del Sud ed in Valle d'Aosta per capire come funzionassero le autonomie speciali in Italia. Nell'occasione conobbe mio zio Severino Caveri, leader autonomista della nostra Regione con cui - mi disse - simpatizzò vivamente. Pujol negli anni successivi pagò questo suo attivismo con la galera e con il confino, ma dopo la caduta della dittatura franchista divenne il capo incontrastato dei catalani e riuscì in anni difficili a forgiare un sistema autonomistico di tutto rilievo, specie a partire dal 1980 quando divenne presidente della Generalitat de Catalunya.
In diversi momenti e nei diversi ruoli che ho esercitato, sono stato in Catalogna per incontri politici e a Bruxelles ho cementato amicizie e collaborazioni nella logica di questa rete europea di quelle che le minoranze spagnole chiamano proprio non amando il termine "minoranza", considerandolo svilente, con l'espressione forte "Nazioni senza Stato". Per altro ricordo che non per caso nella Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine del 1943 (la "Dichiarazione di Chivasso") si parla - riferendosi ovviamente anche alla Valle d'Aosta - di "piccole nazionalità" e se non avevano paura di parlare di "nazionalità" in epoca fascista non credo che lo si debba fare oggi. Nelle settimane scorse, di fronte alla crisi economica, anche nella pubblicistica italiana si è molto parlato della posizione della Catalogna, che ha chiesto aiuto a Madrid per reagire ad un forte indebitamento. Situazione usata dai "soliti noti" per dire male del regionalismo italiano con attenzione particolare alle solite autonomie speciali in un confronto a distanza proprio con la Catalogna, accusata in sostanza di incoerenza . La difficile lettura dei giornali on line in catalano mi aveva fatto capire come la reazione degli autonomisti fosse stata quella di spingere sull'acceleratore e al posto di chiudersi all'angolo di vendere cara la pelle contro i cultori del centralismo. Ora un amico catalano mi manda due articoli, pubblicati in queste settimane sulla stampa francese, e che sono interessanti di questo atteggiamento reattivo, che gioca più sull'attacco che sulla difesa, come bisogna fare per non essere proni e passivi. Ho scelto per capire meglio la discussione un editoriale del giornale "La Depeche", di cui vi propongo la prima parte: "le torchon brûle entre le gouvernement central de Madrid et le gouvernement catalan à Barcelone. Le premier reproche au second et à son président Artur Mas, l'escalade de son discours qui continue à accentuer les visées indépendantistes de la région au moment même où, paradoxalement, elle est en cessation de paiement et forcée de compter sur l'aide du gouvernement central. «Nous sommes les généraux d'une armée qui a une mission historique. Nous ne chercherons pas le conflit, mais nous ne l'éviterons pas non plus». C'est en ces termes qu'Artur Mas, président de "Ciu" (Convergence et Union, le parti de centre droit) président de la Generalitat depuis bientôt deux ans, s'est adressé à ses troupes. On conviendra que ce n'est pas le discours d'un leader à la veille de passer sous les fourches caudines de Mariano Rajoy qui, de son côté, a aussi réuni ses "barons" pour qu'ils approuvent, solidaires, une politique d'austérité entérinée notamment par l'Allemagne. C'est d'ailleurs là où le bât blesse. Car dans les manifestations nombreuses qui se déroulent sur le sol de la Péninsule, il n'est pas rare de voir des pancartes accusant Mariano Rajoy d'être la marionnette de Merkel. Voilà pour le "ressenti" - comme on dit désormais dans les bulletins météorologiques. Pour en revenir à l'affaire catalane, un vent de fonde se lève depuis la Catalogne qui, se considérant comme la région la plus prospère du pays, bataille pour retrouver son indépendance financière totale, à l'égal de ses voisins basques. La rupture du "pacte fiscal" est pour eux la seule voie pour d'assurer la sortie de crise d'une région qui dit n'être en crise que parce que les impôts prélevés chez elle bénéficient à d'autres infrastructures que les siennes. «Nous sommes la poule aux œufs d'or de l'état espagnol qui participe de notre perte de crédibilité». Les Catalans ne jettent pas l'éponge et continuent de bagarrer ferme pour une indépendance dont les plus ardents défenseurs prévoient qu'elle pourrait intervenir dans le cours des prochaines législatures". Capisco bene le specificità catalane e il sistema giuridico assai complesso che regge la loro autonomia, ma quel che è intreressante è come una parte dei loro problemi siano i nostri problemi. Quando si ragiona in termini teorici di come le crisi economiche significano, con assoluta regolarità, il prevalere di una logica centralistica si citano ampie casistiche storiche anche nei regimi federali come la Svizzera o gli Stati Uniti. Ma anche questa crisi - come evidente proprio nel caso italiano che ci concerne - Roma cerca spudoratamente di riaccentrare poteri e competenze. Un orizzonte politico delicatissimo e cruciale e il caso catalano mostra con chiarezza che la strada è quella di reagire e proporre e non di attendere, perché questa strategia comporta solo rischi.