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26 dic 2011

A cinque giorni: il Natale dei ricordi

di Luciano Caveri

Il Natale era lei, la zia Eugenia, chiamata come si faceva sgarbatamente un tempo per le donne non sposate "signorina". Insegnante amata di scuola media, era il punto di riferimento per fratelli e nipoti nella sua casa di via Sant'Anselmo ad Aosta. Era lì che ogni anno andava di scena il Natale in una logica di rappresentazione calda e rassicurante. Il salotto di casa e la cucina vicina erano il palcoscenico di questa festa annuale. In un ordine perfetto, fatto di un rituale rodato da anni, assistevo da bambino ad una sorta di recita. L'albero di Natale con i regali per tutti e un piccolo presepe moderno assieme agli addobbi creavano l'ambiente, così come la tovaglia candida, l'argenteria, le brocche di cristallo e tutto quanto faceva, con un bel centrotavola, il Natale. E le pentole erano sul fuoco in cucina con gli odori e i sapori del Natale, gustati poi nel lungo pranzo concluso con mandarini, frutta e fichi secchi, datteri e con i "grandi" che fumavano e le chiacchiere riempivano il tempo. Stanotte li ho sognati quei ricordi e tutti sappiamo quanto i sogni possano essere realistici. Possono essere così belli da riempirci il cuore e, per contro, il risveglio ha effetti consolatori, ma anche il sapore acido del rimpianto che così tanti ricordi innescano. D'altra parte cosa si può sognare la notte di Natale se non qualcosa che riguardi questa festa? Sono uscito a prendere la macchina con la testa piena di pensieri. Era nevicato durante la notte, giusto una spolverata di neve. A confermare una vecchia magia, complicità inspiegabile, sul lunotto - nel sottile strato farinoso - c'era una firma, che suonava come una sicurezza: Eugenia. Oltre il sogno.