Considero il dibattito parlamentare di ieri sulla crisi in Italia inutile e tardivo, per cui - per non ripetermi - parlo d'altro. La questione del "Jambon Aoste" è purtroppo ben nota e già evocata qui in passato. Ancora di recente, un sito specializzato l'ha così riassunta: «Voilà une des plus belles et des plus juteuses escroqueries "marketing"! C'est l'un des jambons les plus consommés de France, mais ce dernier n'a rien à voir avec la charcuterie de la ville italienne d'Aoste. Ce produit est en fait fabriqué chez nous, mais à partir de carcasses chinoises et américaines, dans une commune du même nom située en... Isère. Et contrairement à son homologue transalpin, qui est un jambon cru, il s'agit d'un jambon mi-cuit. Le subterfuge a fonctionné pendant des années puisque la marque déposée "Jambon d'Aoste" a été la propriété du groupe "Ao", (Cochonou/Justin Bridou), leader français de la charcuterie. Il aura fallu que la Commission européenne interdise récemment (2008) l'utilisation de cette appellation qui prête à confusion pour que l'ambiguïté cesse. La marque a depuis été renommée "Jambon Aoste" et non plus "Jambon d’Aoste"». Quel che è meno noto è il passaggio di società in società (sempre grandi multinazionali) di questo marchio assai attrattivo e ciò dovrebbe essere istruttivo della potenzialità sul mercato francese per il nostro prosciutto "Dop" di Bosses e più in generale per i prodotti originali della nostra Valle. Va aggiunto che l'utilizzo di maiali di provenienza extraeuropea ha portato il "Jambon Aoste" ad affrontare polemiche fortissime da parte degli allevatori francesi di suini, colpiti dalla grave crisi del settore. La mondializzazione nell'ambito alimentare ha aspetti inquietanti e la tutela dei prodotti tipici, di recente resa più forte in Europa con regole che hanno reso meno semplice l'ottenimento del label comunitari, resta problematica nel resto del pianeta per le lentezze e le titubanze dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. La contraffazione, che è una frode alimentare, è un problema grave anche per la nostra "Fontina": in un recente rapporto sulla pirateria agroalimentare si segnala ancora la vendita di "Fontina" fasulla svedese e danese sul mercato mondiale. Pensando ai problemi di commercializzazione del nostro formaggio tipico (circa 400mila forme prodotte ogni anno), la questione non è banale, visto poi che la gran parte della nostra agricoltura ruota attorno alla "Fontina" ed alla sua vendita.