Sono spiaciuto di non essere stato invitato, domani al Quirinale, al "Premio di giornalismo di Saint-Vincent". Era moltissimi anni che ci andavo e l'occasione è risultata sempre interessante. Immagino che il dimagrimento della delegazione valdostana sia dovuta a motivi di risparmio e dunque condivisibili. Per altro, va detto che pian pianino quella premiazione così prestigiosa ha perso quota, avendo ormai la Presidenza della Repubblica aperto le sue sale in contemporanea per le premiazioni di diversi premi di giornalismo, oscurando quel "Saint-Vincent" che avrebbe meritato di essere un "unicum", pensando al fatto che è nato nell'immediato doopoguerra e gode di grande prestigio. Ma ormai, purtroppo, la scelta è stata fatta e serve anche al Presidente Giorgio Napolitano per esprimersi sull'informazione e sono certo che sarà l'occasione per difendere i giornalisti dalle accuse di queste ore di fomentare il "caso Ruby", quando invece mi sembra che attaccanti e difensori si equivalgano (anche se Silvio Berlusconi ha codificato l'uso del messaggio autoprodotto). Due annotazioni: il "Saint-Vincent" mi riporta indietro al 1978, quando vinsi la sezione giovanile del premio e mi trovai in una trasmissione televisiva con Jader Jacobelli e con un giovane direttore del "Tempo" di Roma, Gianni Letta. Allora avevo già ampiamente deciso che il mio lavoro sarebbe stato quello del giornalista. E poi annoto come ormai la logica "bipartisan" sia la chiave del Premio: quest'anno i premi principali vanno infatti a Bruno Vespa ed Enrico Mentana, cui si aggiunge Antonio Padellaro direttore de "Il Fatto quotidiano". In particolare Mentana, superbo conduttore e direttore del telegiornale di "LA7", pratica un giornalismo diametralmente opposto all'inossidabile Bruno Vespa, che appartiene ad una generazione che uscirà dal video solo per l'eterno riposo.