"Du 22 au 24 octobre 2010, la Suisse accueille à Montreux le XIIIe Sommet de la Francophonie. Y participent 3.000 personnes représentant les 70 Etats et gouvernements, de nombreuses organisations et réseaux partenaires, des organes de presse et des médias". La notizia in sintesi è questa, ma nella realtà lo straordinario e variegato mondo della francofonia è già riunito da giorni a Montreux e non solo per il lavoro degli sherpa dei "decisori" della francofonia ma per le molte associazioni annesse e connesse. Io ho partecipato al sommet di Bucarest in Romania nel settembre del 2006, dopo diversi incontri in tutte le sedi per cercare di sbloccare lo status attuale della nostra Valle di "invité spécial". Un tema complesso, di cui mi sono occupato anche quando ero deputato: lo Statuto della francofonia - cerco di essere essenziale - consente la vera e propria adesione agli Stati e noi non siamo uno Stato. Non sarebbe stato eccentrico, come fa il Canada per il Québec, che l'Italia aderisse alla francofonia, consentendo alla Valle d'Aosta, in ossequio al principio del bilinguismo perfetto del nostro Statuto d'Autonomia, di partecipare al sommet a pieno titolo, entrando dalla porta e non dalla finestra. Un giorno il Presidente Romano Prodi, a fronte di una mia qual certa insistenza mi chiese: "ma alla fine questa francofonia cos’è? Una specie di Commonwealth?". Spiegai a Prodi, non ottenendo alla fine soddisfazione di un impegno italiano nella francofonia (e lo stesso è valso, purtroppo, per gli altri Presidenti del Consiglio), che la francofonia era una "rete" che poteva essere interessante e utile anche per l'Italia: una finestra sul mondo che grazie alla Valle d'Aosta poteva prevedere, con delega governativa alla nostra Regione, una partecipazione italiana. Avendo vissuto alcune esperienze, anche a livello di scambi su scala regionale, con colleghi provenienti da diversi Paesi del mondo, credo che il tessuto della francofonia sia riassumibile nella nota citazione "La Francophonie est un mode de pensée et d’action" di Léopold Sédar Senghor. Per i valdostani - e bisogna farlo capire ai giovani, compresi i miei figli che ogni tanto sbuffano - il francese è una chiave di lettura unica per rapportarsi con il mondo attraverso una propria cultura d'appartenenza. Altri questa chance collettiva non ce l'hanno e ci rende, se ci crediamo e se ci impegniamo, più grandi di quel che siamo.