Non so francamente quanti siano, tolti quelli "storici" che operano in Valle, gli alpini valdostani in servizio nell’Esercito ormai professionale con la fine della leva obbligatoria dal 1° gennaio del 2005. Immagino che siano rimasti pochi e questo porterà nel tempo alla lenta e ineluttabile scomparsa, per esaurimento dei suoi membri, di quel collante sul nostro territorio che sono le sezioni dell'ANA (Associazione Nazionale Alpini). D'altra parte nessuna reale misura vera è stata assunta in questi anni per incentivare i giovani delle Regioni alpine ad alimentare le truppe alpine, che sono composte ormai a larghissima maggioranza da giovani provenienti dal Sud, che in prevalenza scelgono di entrare nelle Forze Armate alla ricerca di un posto di lavoro stabile. Per quanto possa essere efficace la formazione militare, questo significa non avere più persone nate e cresciute in montagna, che non è per nulla un elemento banale. Cosa avrebbe potuto spingere alcuni giovani valdostani ad abbracciare per qualche tempo della loro vita la carriera militare negli alpini? Io direi che sarebbe stata decisiva una qual certa garanzia di essere stanziale, resa possibile evitando il "giro d’Italia" dei singoli militari e delle loro famiglie per percorsi formativi e scatti di carriera, che nulla ha a che fare con l’obbligo di partecipazione alle sempre più numerose missioni estere. Aggiungerei l'esistenza di "passerelle" fra la vita militare e la vita civile con punteggi veri per concorsi pubblici e possibilità, durante il servizio, di acquisire competenze tecniche certificate e titoli di studio spendibili altrove. La fine della "naia" e l'assenza di queste misure attrattive, per una visione burocratica e anche per periodiche antipatie verso le truppe alpine di qualche generale (sconfitto dall'esigenza di avere truppe di montagna negli scenari di guerra internazionali), stanno dunque sancendo la fine di una lunga storia di legame fra alpini e quelle zone alpine che hanno da sempre costituito la base di questo "corpo".