Capita d'incontrare persone che non vedevo da tempo. Non mi stupisco che siano proprio i segni del tempo, su di loro come su di me, ad incidere. L'immagine giovanile di noi e degli altri è un fantasma gioioso che vive con i ricordi ed è un sentimento diffuso per chiunque, "anta" dopo "anta" attraversa i decenni che passano, chiedersi nel riflesso di uno specchio chi sia quella persona lì nel vetro, come se si trattasse di un ladro della tua vera identità, quella dei tuoi vent'anni. Ma non è quello: quel che colpisce in alcuni - e non solo donne - è una certa fissità d'espressione del viso, una sorta di incassamento degli occhi, labbra esagerate e tumide. E' in certi casi ritrovi un volto reso innaturale da non so quale tecnica nella rispettabile speranza, alla Dorian Gray, di non invecchiare. Un amico chirurgo estetico mi raccontò del suo lavoro e di cosa significhi rimodellare il volto di una persona sfigurata in un incidente, di cosa voglia dire nascondere una cicatrice o una bruciatura, ma mi ha anche raccontato del desiderio di assomigliare ad una diva, del capriccio di un seno debordante, della paranoia di un naso perfetto. Ho osservato in passato in Parlamento colleghi con parrucche o improbabili coloriture delle chiome, con scarpe con la zeppa, con dentature surreali, come prezzo da pagare all'immagine. Tutto legittimo, per carità: sono vezzi innocui da che mondo e mondo e ci sono storie avvincenti sin dall'antichità. Ma la chirurgia ha qualcosa di nuovo: direi che pretende la perfezione, altrimenti è un disastro fatto di occhi asimmetrici, palpebre cadenti, sorrisi sempre esposti, pelli tirate come tamburi. C'è da rimpiangere i visi vissuti.