Un'estate, da ragazzino (ho persino un mese di contributi "Inps" che mai mi serviranno), ho lavorato come "apprendista fotografo" nel negozio "Mangiapan" di Imperia. All'epoca, parlo di trentacinque anni fa, le foto a colori le mandavi già a stampare negli appositi laboratori, mentre le foto in bianco e nero le stampavi lì in un piccolo locale con una grande macchina. Avevo imparato della camera oscura, dei reagenti, delle carte. Le fototessere erano anch'esse in bianco e nero e, dopo lo scatto, il lavoro più interessante era quello con una "matita grassa" di correggere rughe e imperfezioni prima della stampa. Nel negozio si vendevano anche macchine fotografiche assai sofisticate e per un certo periodo mi ero appassionato di un mondo fatto di ottiche, tempi di esposizione, rullini. Credo poi mi sia servito per il côté immagine del mio mestiere giornalistico televisivo. Già allora c'era una "democratizzazione" della fotografia con la "Polaroid", con le macchinette automatiche, con la miniaturizzazione, la cui logica era semplificare la fotografia, aprendola a tutti. Oggi siamo all'epilogo: la macchina fotografica dentro il telefono come esempio della digitalizzazione che fa della fotografia un fenomeno di massa che coinvolge tutte le età. Scatti, scatti, scatti. Sempre, dovunque e su qualunque soggetto vedi qualcuno che fotografa o filma. Resta da chiedersi: che cosa diavolo se ne faranno?