Intendiamoci subito: in questi anni troppe intercettazioni telefoniche e ambientali sono finite con eccessiva facilità sui giornali o persino, con appositi file, sui siti dei giornali. Per cui regole più restrittive e di buonsenso, nella celebrata ma ammuffita logica della deontologia professionale di un Ordine dei giornalisti che arranca di fronte ad un mestiere che cambia con le nuove tecnologie, non sono uno strangolamento della libertà di stampa. Ciò detto, però, quel che si sta materializzando in Parlamento, fra accelerazioni e arretramenti, è qualche cosa di diverso: è davvero un tentativo anzitutto di limitare lo spettro dei casi in cui si rendono necessarie le intercettazioni e su questo - in un Paese avvelenato dalle mafie e da "politica sporca" - è bene essere cauti e c'è anche, con i testi in discussione, una tentativo di strangolamento o peggio di intimidazione verso chi fa il giornalista a fronte di atti ormai ufficializzati (le fughe di notizia sono altra cosa). Di questo i cittadini - in tutte le forme possibili - devono sapere, perché in una democrazia sarebbe ridicolo che certi atti giudiziari o processuali, regolarmente consultabili perché pubblici, restassero nei cassetti per chissà quale pudore o nel nome del prezzemolino "privacy". L'aria dei tempi non mi piace.