Nella mia infanzia, l'acqua in bottiglia era una rarità da ristorante. Appariva in tavola a casa in circostanze straordinarie ed era la "Sanpellegrino". Mia nonna, invece, metteva a tavola l'acqua con la "Frizzina" (o, se ricordo bene, l'"Idrolitina") che gassava e salava leggermente. Per il resto: acqua del rubinetto e conoscevo, girando in bicicletta per Verrès e dintorni, ogni fontana e fontanella, distinguendo alla fine l'acqua che mi piaceva di più, smentendo la balla dell'acqua insapore. Oggi, invece, le bottiglie sono la realtà, prevalentemente in plastica e di vari formati e talvolta con provenienze distanti che non ci impressionano, perché siamo vittime della pubblicità, essendo i budget di certe campagne delle acque colossali e ricaricati ovviamente sulle bottiglie che sono costosissime. Carichi come dei somari, usciamo dagli ipermercati ed è il peso della diffidenza verso l'"acqua del sindaco", che nel caso valdostano passa attraverso una paranoia collettiva verso il calcare, immaginandoci tutti afflitti da calcoli di vario genere nel caso di consumo dell'acqua potabile. Sono comportamenti - lo dico a me stesso - facilmente modificabili.