Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
14 dic 2025

Il vero senso del dono

di Luciano Caveri

Sui doni natalizi ho un mio copione ormai ampiamente rodato.

La concomitanza fra Natale e il mio compleanno mi consente di fare la solita gag del poverino che, sin dalla più tenera età e al di là della circostanza di non poter fare una festa di genetliaco nel giorno canonico con gli amici, si trova con regali che raramente raddoppiano come si dovrebbe, pur sommando una festa in una.

Capisco che ormai è una storia usurata, come il sottoscritto, per l’età incombente, che rende ormai impossibile il piazzamento sulla torta delle candeline che ci vorrebbero.

Ma la questione del regalo va presa sul serio, cominciando dalla parola stessa.

Il termine “regalo” viene da "regalàre" verbo transitivo (secolo XV), che vuol dire "donare", ma vedremo come certe parole si incrocino. E' un prestito all'italiano da altre lingue romanze: dallo spagnolo "regalar - lusingare, far doni", in origine "festeggiare, far accoglienza" e dal francese "régaler - offrire un festino", da "galer - divertirsi" coll'uso del prefisso "re-". In francese sapendo che "régal" nel senso di "dono" sparito, mentre resta vivo il verbo "régaler", nel significato generale di "offrir quelque chose à quelqu'un, agir de façon à lui plaire". Nell'Ottocento poteva trattarsi di una festa, mentre oggi ha un senso più ridotto, come può essere un buon piatto, un piacere carnale, estetico o intellettuale e persino un successo negli affari.

In italiano c’è il termine "dóno" (1278), nel senso appunto di "regalo, omaggio", dal latino "dōnu(m)", dalla stessa radice di "dăre", nel senso di "ciò che è dato". Il latino "dōnum" - spiegano gli esperti - continua a far vivere una forma che era già indoeuropea, come mostrano i confronti con vocaboli simili in molte altre lingue non neolatine.

In francese si è affermato "cadeau" ed è un termine che nel tempo ha cambiato significato sino all’impiego attuale. La parola deriva dal provenzale antico capdel (o l'antico francese cadel), che a sua volta risale al latino capitellus, diminutivo di caput ("testa", "capo"). In origine, cadeau (o cadel) non significava "regalo" come lo intendiamo oggi, ma indicava il capolettera decorato, ovvero la lettera iniziale ornata o la maiuscola decorata con fregi nei manoscritti. Era un tratto di penna artistico e ornato, a volte chiamato anche "svolazzo" o "tratto di penna" (trait de plume). Da "capolettera ornato" (intorno al 1416), il termine passò a significare "svolazzo" o "decorazione in omaggio" in generale, in particolare come gesto di eleganza o divertimento (soprattutto in omaggio alle dame).

Successivamente, nel XVII secolo (intorno al 1669), il significato si è evoluto nel senso moderno di "dono" o "regalo", probabilmente perché questo tipo di decorazione o "svolazzo" era spesso fatto - come dicevo - come omaggio o presente gentile.

Quindi, il "regalo" moderno deriva linguisticamente da una "lettera iniziale decorata" usata per abbellire gli scritti!

Già, c’è anche “presente”! Si usa anche questa parola, in modo più affettato, come sinonimo del regalo. Il collegamento è che sia il dono che l'attimo temporale sono definiti dall'idea di essere qui, di essere adesso, di essere sotto gli occhi. Il regalo è un oggetto che viene reso presente a qualcuno. E come far dire con la parola che noi ci siamo assieme al regalo che facciamo!

Marcel Mauss, antropologo francese autore del celebre "Saggio sul dono", descrive la socialità del dono nelle società arcaiche e primitive. Tre le caratteristiche fondamentali del dono: "dare, ricevere, ricambiare" e mostra come i tre fondamenti del dono fossero essenzialmente obbligatori all'interno delle comunità primitive da lui studiate. Si deve "dare" per mostrare la propria potenza, la propria ricchezza; si è nell'obbligo di "ricevere", cioè non si può rifiutare il dono, pena la scomunica della comunità ed il disonore; si deve "ricambiare", cioè restituire alla pari o accrescendo ciò che si è ricevuto: restituire meno di ciò che si è ricevuto è un'offesa al donatore. Nel "Saggio sul dono" si mostra quindi come gli individui delle società arcaiche fossero obbligati a donare. Il dono non è quindi pratica libera, è un obbligo sociale, è un vincolo comunitario, non è liberalità del singolo, non è disinteresse.

Certi automatismi, consci o inconsci, un pochino restano, perché siamo noi stessi la sommatoria di evoluzioni dalle radici profonde.

Anche se, in fondo, nel famoso spirito del Natale c’è qualcosa di più profondo del solo dono.

Lo fa bene capire Dr. Seuss (pseudonimo di Theodor Seuss Geisel, 1904–1991), uno dei più celebri autori e illustratori americani di libri per bambini, autore de “Il Grinch rubò il Natale”.

Proprio lui, quel essere verde, peloso, solitario e brontolone che vive in una grotta sul Monte Crumpit e che odia il Natale, spingendosi fino a rubare tutti i regali, alberi e decorazioni per impedire la festa.

Eppure, a un certo punto, scrive l’autore: “E il Grinch, con i suoi piedi gelidi nella neve, rimase lì perplesso: “Forse il Natale,” pensò, “non viene dal negozio. Forse il Natale… significa un po’ di più!”.

Allora assume un valore universale la frase di Antoine de Saint-Exupéry ne “Il Piccolo Principe”, se adattata al Natale: “L’essenziale è invisibile agli occhi. Si vede bene solo col cuore. Il vero regalo è il tempo che dedichi a qualcuno”.