Era il 16 luglio 1965, quindi sono oggi i 60 anni, quando il Presidente francese Charles De Gaulle e quello italiano Giuseppe Saragat (presidente della Regione era mio zio Séverin) tennero i loro discorsi ufficiali per l’inaugurazione del traforo del Monte Bianco.
Entrambi conoscevano bene la Valle d'Aosta, oggetto come noto di questioni politiche non indifferenti - di cui entrambi erano stati protagonisti a diverso titolo - appena vent'anni prima.
Infatti, dopo la Liberazione nell’aprile del 1945 le truppe francesi occuparono la Valle d’Aosta, facendo di fatto sponda alle spinte annessionistiche presenti in Valle, ma poi le complicate vicende storiche presero una strada diversa verso la nascita di una Regione autonoma nel quadro dell’Italia. Saragat nel 1946 fu Presidente di quella Assemblea Costituente che lavorò proprio sullo Statuto di autonomia valdostano.
Al momento della sua apertura, il Bianco era il tunnel stradale più lungo al mondo con i suoi undici chilometri e seicento metri. Una galleria a doppia carreggiata collegava cosi l'Alta Savoia e la Valle d'Aosta, definita nella sua allocuzione ufficiale da De Gaulle «cette belle Vallée, que le sang, la langue, le sentiment, apparentent de si près à la France», parole come macigni in quegli anni.
Ricordo che, usando la "macchina del tempo" della Storia, circa 180 anni prima, nel 1787, due anni prima che in Francia scoppiasse la celebre Rivoluzione - il naturalista ginevrino Horace Bénédict de Saussure, dalla vetta del Monte Bianco profetizzò: «Un jour viendra où l'on creusera sous le Mont-Blanc une voie charretière et ces deux vallées, la Vallée de Chamonix et le Val d'Aoste, seront unies».
Più o meno un secolo dopo si apre una finestra, chiusa in fretta, sull'ipotesi di una galleria ferroviaria, poi riaperta all'inizio del Novecento, su impulso del deputato valdostano Francesco Farinet. Nel 1907 il quotidiano torinese "La Stampa" pubblica in anteprima la notizia dell'imminente costruzione della galleria e nel 1908 l'ingegnere francese Arnold Monod illustra il suo progetto ad una delegazione di parlamentari italiani e francesi, sostenuti rispettivamente dai primi ministri Giovanni Giolitti e Georges Clémenceau, in visita ad Aosta.
Dopo anni di silenzio, nel 1933 - ma siamo in pieno fascismo e dunque in clima non certo propizio, complicato dalla Seconda guerra mondiale - il "Corriere della Sera" pubblica un lungo articolo a firma di Carlo Ciucci dal titolo "Un'idea che si avvia a diventare realtà. L'autostrada del Monte Bianco". Anche questo, se ben ci pensiamo, un titolo più che profetico.
Nel secondo dopoguerra fu il conte Dino Lora Totino a capire l'importanza di un traforo stradale, essendo ormai decotta l’idea ferroviaria, e nel 1946 iniziò a scavare sul versante italiano a titolo di provocazione.
Bisogna arrivare al 1953 per avere la Convenzione tra l'Italia e la Francia per la realizzazione, finalmente, dell'opera, anche se la ratifica dei rispettivi Parlamenti spostò l'inizio lavori al 1959.
Pagine della storia valdostana, incrociate in questo caso alla storia europea, che in quegli anni viveva l'entusiasmo del processo d'integrazione europea.
Quale futuro per il traforo? Oggi si modernizza un’infrastruttura datata e monotubo con tempi previsti finali quasi ventennali, attraverso chiusure per lunghi mesi per consentire i lavori.
Il raddoppio possibile (Italia a favore, la Francia fra il contrario e il dubbioso) non ha ancora una sorte certa.
Per farlo ci vorranno o ci vorrebbero tempi lunghi. Basti guardare il fratello più giovane, cioè il traforo del Fréjus, i cui lavori di raddoppio iniziarono nel lontano 2007 e l’inaugurazione sarà tra poco, il 27 luglio, 18 anni dopo! Un periodo di tempo che lascia stupefatti per l’evidente lentezza.
Resta la necessità di inserire questa opera, nel caso si concretizzasse la volontà reciproca, nella Rete transeuropea dei Trasporti e questo dipende dai due Stati confinanti che lo debbono proporre all’Unione europea.
Interessante capire se Bruxelles reagirebbe accettando un raddoppio stradale in situ o nuove forme di collegamento come potrebbe essere un parziale ferroutage e cioè un sistema di attraversamento misto fra strada e ferrovia, già altrove adoperato sulle Alpi per il trasporto dei TIR.
Un dossier aperto, assai complesso, che richiede un iter simile a quello che portò al traforo in esercizio: passarono - come detto - anni fra il protocollo d’accordo tra Italia e Francia e l’inizio dei lavori di scavo e per ora non si ha piena contezza di quali progetti ci siano già pronti.
I prossimi anni saranno decisivi per capire il destino dell’asse trasportistico sotto il Monte Bianco, legame importante per la Valle d’Aosta e per l Europa intera.
Sapendo che l’esercizio del collegamento ferroviario strategico della Torino-Lione, i cui primi lavori risalgono al 2001, potrebbe essere aperto nel 2033 o forse addirittura nel 2035.
Rinviare a dopo quell’orizzonte ogni decisione sarebbe un errore.