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06 giu 2025

Giochi del tempo che fu

di Luciano Caveri

È quasi commovente quando capita di vedere un capannello di bambini che giocano all’aperto.

Ci pensavo l’altra sera. Ero in Piazza in Lucina, una delle più belle piazze del centro di Roma, aspettando una persona con cui avevo un appuntamento.

Amo quella piazza, anche perché mi evoca un lungo incontro che ebbi, al primo piano di una casa prospiciente, con Giulio Andreotti, che era Presidente del Consiglio, in occasione di vicende politiche valdostane. Mi tenne nel suo studio un sacco di tempo, senza mai ricevere telefonate, raccontandomi molti aneddoti. Occasione unica, che mi colpì.

Ebbene, a due passi da dove mi trovai più di trent’anni fa, c’erano quattro o cinque bambini che alternavano vari giochi fra loro e lo facevano del tutto impermeabili al caos attorno a loro con un andirivieni impressionante di turisti, che ormai - causato dal ben noto overtourism - saturano le strade della Capitale.

Un tempo era un’immagine ordinaria, che ci richiama alla nostra infanzia, quando la nozione di cortile era evidente. Ha scritto Tonino Guerra: ”Nel cortile si cresceva senza accorgersene, a forza di rincorrersi e cadere”.

Gli fanno eco Natalia Ginzburg: ”Nel cortile imparavamo le prime regole non scritte della convivenza: chi comanda, chi perde, chi piange, chi si rialza” e Cesare Pavese con ”Il cortile era un mondo: bastava un pallone e un grido per farlo vivere“.

Oggi le paure dei genitori che sono più apprensivi dei nostri, il calo demografico che fa diminuire i bambini, i rischi di alienazione del mondo digitale che creano un mix che cambia usi e costumi.

Spiace e viene in mente quel gioco antico, che era una delle animazioni della nostra infanzia: “Dire, Fare, Baciare, Lettera, Testamento”.

Con regole semplici serviva principalmente per divertirsi e creare situazioni buffe o imbarazzanti in modo leggero per sostanziare regole di socialità che servivano per crescere. Ricordate? Come siedevamo in cerchio, sì sceglieva un giocatore, cui si chiedeva appunto il già citato ” Dire, fare, baciare, lettera o testamento?” Toccava al giocatore scegliere una dea cinque opzione.

Dire: deve rispondere sinceramente a una domanda, spesso personale o imbarazzante.

Fare: deve eseguire una sfida, uno scherzo o un compito (di solito buffo o imbarazzante).

Baciare: bisogna dare un bacio a un altro partecipante scelto dal gruppo o dal conduttore del turno.

Lettera: era necessario inventare o leggere una lettera, spesso romantica o buffa, a un altro partecipante.

Testamento: toccava a“lasciare” qualcosa in eredità simbolica a un altro giocatore (tipo: “lascio la mia pigrizia a Marco”).

Diceva Jean Piaget, psicologo svizzero: ”Il gioco è il lavoro del bambino”.

Ma credo sarebbe divertente utilizzare questo vecchio gioco anche in politica.

Verrebbe da segnalare come sul dire e il fare, slegati o concatenati, ci sarebbe da divertirsi.

Sul baciare sarebbe utile perché carta di tornasole fra sincerità e baci di Giuda.

La lettera forse consentirebbe di esprimere tanti detto e non detto che ammorbano certe riunioni.

Sul testamento - per fortuna privo nel gioco di qualunque simulazione di morte - si potrebbe dire che potrebbe essere occasione pubblica per confessare i propri difetti.

La politica certo non è un gioco, ma è mettersi in gioco.