La solitudine non è in generale una piacevole condizione umana.
Intendiamoci: può essere una scelta. Mi affascinava, l’altro giorno, il racconto su di un San Bernardo di Aosta, che era grande predicatore ma anche con momenti in cui sceglieva di essere eremita.
L’eremitaggio era una scelta, motivata da ragioni spirituali, filosofiche o di ricerca interiore. Gli eremiti si ritirano dal mondo per vivere in isolamento, dedicandosi alla contemplazione, alla preghiera o semplicemente alla riflessione lontano dalle distrazioni della società.
Trovo, però, che viviamo oggi una singolare situazione umana. I sociologi parlano di atomizzazione sociale, il fenomeno in cui gli individui diventano sempre più isolati gli uni dagli altri, perdendo nel peggiore dei casi il senso di comunità e appartenenza.
Osservo con viva curiosità e qualche angoscia i giovani adolescenti e lo faccio con spirito scevro dal solito refrain della nostalgia per la nostra giovinezza.
Facile segnalare come il Web nella sua varietà e i social media possono portare a una maggiore disconnessione nella vita reale. Lo sappiamo, ma l’influenza sui giovanissimi (vedi bimbi davvero piccoli chini su di un IPad) è implacabile e crea una vera e propria dipendenza e una sorta di vita parallela che riduce la socialità in carne ed ossa.
Questo si somma al ridursi dei giovani con la crisi demografica: pochi e isolati. L’assenza del “cortile”, inteso come gruppo dei vicini di casa, la riduzione della logica da “compagnia”, una diminuzione anche del legame all’interno della scuola: sono segnali assai negativi.
Esiste certo un “effetto chioccia” da parte di noi genitori. E bisogna fare in modo che ci siano antidoti non facili. Ci vuole un’educazione all’uso consapevole: promuovere un utilizzo equilibrato dei social, enfatizzando l’importanza delle relazioni offline.
Spingere verso attività alternative: Incoraggiare i giovani a partecipare a sport, hobby e incontri sociali dal vivo per bilanciare il tempo trascorso online.
Dare - sempre che non diventi una moda - offrire un supporto psicologico: può essere utile un supporto per affrontare eventuali problemi di autostima o dipendenza legati all’uso dei social media.
Ma esiste un altro problema, esattamente inverso, che riguarda la solitudine delle persone anziane, che aumentano nella logica ben nota della piramide inversa, a differenza della piramide tradizionale. La prima ha la punta da basamento con la base in alta e viceversa è l’architettura di quella tradizionale.
In soldoni: pochi bambini e molti anziani che approfittano dell’allungarsi della prospettiva di vita.
Ma anche loro diventano vittime della atomizzazione con il venir meno della rete familiare, anch’essa fattasi esigua, e con strutture di accoglienza distanti dal luogo di vita che tendono più facili situazioni di solitudine.
Conta molto, per reagire, dicono gli esperti, avere una gamma di possibilità.
Giusto spingere per la partecipazione a centri anziani, a gruppi parrocchiali, mi spingo a dire alla politica come passaggio di esperienze. Può essere di stimolo il ruolo del volontariato e, quando possibile, il contatto con giovani.
Le tecnologie, ossessive per i giovani, possono essere, invece, utili per gli anziani, insegnando l’uso dei Social e di App per intrattenimento, così come attività sportive e ricreative. Un mondo che cambia, con incredibile rapidità, obbliga reazioni immediate, quando ci si accorge di qualche male emergente.
C’è una bella frase di Enzo Bianchi: “La solitudine è sofferenza maledetta non quando si è soli ma quando si ha il sentimento di contar niente per nessuno”.