Giorni fa, avevo letto un trafiletto che mi aveva colpito e come talvolta capita l’ho messo da parte: “Roberto Gallingani, dirigente scolastico del liceo classico Marco Minghetti di Bologna, ha scelto di istituire a partire dal prossimo anno scolastico un'ora in più di italiano. Dal prossimo settembre gli studenti di quarta e quinta ginnasio del liceo classico svolgeranno quindi un'ora di studio della lingua italiana aggiuntiva. Questa decisione è stata presa dal dirigente scolastico, su consiglio del collegio docenti. "Le competenze dell'italiano di base, come saper scrivere o comprendere un testo, sono molto deficitarie".
Mi è capitato talvolta di scrivere della realtà certificata di una continua semplificazione della lingua che viene adoperata con un uso nel parlare di vocaboli sempre più ridotti, scoprendo in certe circostanze – magari quando si usa un termine non troppo usuale – di avere interlocutori che non ne comprendono il significato. Questo avviene anche con persone laureate e che dunque nel loro percorso di studio dovrebbero avere acquisito un vocabolario piuttosto vasto.
Talvolta – e prendo la questione molto sul serio – trovo persone che si compiacciono della mia scrittura quotidiana (che sono poi un centinaio di righe), ma osservano che non hanno tempo di leggere un testo così lungo, che in verità dovrebbe impegnare solo qualche minuto.
E’ capitato a fagiolo un articolo di Rose Horowitch sul giornale americano The Atlantic, Stati Uniti. L’inizio colpisce: “Dal 1998 Nicholas Dames insegna literature humanities, il corso obbligatorio della Columbia university dedicato ai grandi classici. Ama il suo lavoro, che tuttavia è cambiato. Negli ultimi dieci anni gli studenti hanno cominciato a soffrire la quantità di letture assegnate. Non che prima leggessero tutto quello che gli era dato, ovviamente, ma non si tratta solo di questo. Oggi molti studenti sembrano spaesati di fronte all’idea di leggere più libri ogni semestre. I colleghi di Dames hanno notato lo stesso problema. Molti studenti arrivano all’università, anche università molto selettive e considerate d’élite, senza più la capacità di leggere libri”.
Dames non ha saputo spiegarsi il motivo di questo cambiamento fino a quando, nel primo semestre del 2022, una studente del primo anno ha bussato alla sua porta per confidargli quanto avesse trovato difficile rispettare le prime consegne. Non è raro che il corso richieda agli studenti di leggere interi libri, spesso testi lunghi e complessi, nell’arco di una o due settimane. Ma la studente ha raccontato a Dames che al liceo non le era mai stato chiesto di leggere un libro per intero. Aveva affrontato estratti, poesie e articoli di giornale, ma mai un libro dalla prima all’ultima pagina. “Sono rimasto senza parole”, ha ammesso Dames.
Ma l’aneddoto lo ha aiutato a capire il mutamento che vedeva nei suoi studenti: il problema non è che non vogliono leggere, ma che non sanno come farlo. Alle scuole medie e superiori hanno smesso di chiederglielo”.
Più avanti: “Nel 1979 Martha Maxwell, un’influente studiosa nel campo dell’alfabetizzazione, scriveva: “Ogni generazione, a un certo punto, scopre che gli studenti non sanno leggere come si vorrebbe o come i professori si aspettano”. Dames, che si occupa di storia del romanzo, riconosce che questa lamentela ha una storia lunga. “In parte sono sempre tentato di essere scettico riguardo all’idea che questo fenomeno sia qualcosa di nuovo”, ha affermato. Eppure, ha aggiunto “c’è qualcosa che stiamo osservando e che non mi sento di ignorare del tutto”. Vent’anni fa, le sue classi riuscivano senza problemi a condurre discussioni approfondite su Orgoglio e pregiudizio una settimana e su Delitto e castigo quella successiva. Ora i suoi studenti gli dicono apertamente che il carico di letture è insostenibile. Non è solo il ritmo serrato a metterli in difficoltà, faticano a cogliere i dettagli e allo stesso tempo a seguire l’impianto narrativo”.
Più avanti escono testimonianze di chi osserva: “Anthony Grafton, storico di Princeton, ha osservato che i suoi studenti arrivano al campus con un vocabolario più limitato e una comprensione della lingua meno sviluppata rispetto al passato”; “Anthony Grafton, storico di Princeton, ha osservato che i suoi studenti arrivano al campus con un vocabolario più limitato e una comprensione della lingua meno sviluppata rispetto al passato”; “Non riuscire a leggere una poesia di quattordici versi senza cedere alle distrazioni rimanda a una spiegazione ormai nota dietro al declino delle capacità di lettura: gli smartphone. Gli adolescenti sono costantemente attratti dai loro dispositivi, il che compromette la preparazione necessaria per affrontare le sfide accademiche”; “Mike Szkolka, insegnante e dirigente con quasi vent’anni di esperienza nelle scuole di Boston e New York, ha spiegato che, ormai, gli estratti hanno sostituito i libri completi in tutti i gradi della scuola”. “L’American time use survey rileva che il numero di persone che legge per piacere è calato negli ultimi vent’anni. Alcuni professori raccontano che i loro studenti paragonano la lettura all’ascolto di vinili: una pratica di nicchia, ormai retaggio del passato”.
Si salvi chi può!