E’ un tema ricorrente in politica riflettere sulle cose da fare e, in parallelo, sulle idee su cui ognuno di noi fonda le proprie convinzioni.
In un’epoca di crisi delle ideologie, di cui abbiamo ampia conoscenza, c’è chi sbandiera il pragmatismo amministrativo come unica medicina. In soldoni: ci sono problemi da affrontare, che lo si faccia senza indugio e senza guardare al pensiero.
Francamente la vedo in modo diverso e cioè non condivido l’idea che chi fa politica non debba avere un patrimonio culturale e di convinzioni profonde che radichino il proprio lavoro. Altrimenti saremmo tutti uguali e fissi su una specie di pensiero unico, lanciati nelle azioni senza un substrato su cui abbiamo costruito la nostra personalità e l’idem sentire che mette assieme le persone nei partiti e nei movimenti politici. Organizzazioni senza le quali la democrazia non vive e lo si vede nei regimi più o meno autoritari.
Queste mie convinzioni non volano affatto alto nel cielo, ma si calano perfettamente nella vita quotidiana e nelle scelte fattuali che la politica deve effettuare.
Ci pensavo tornando sul discorso magistrale tenuto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che non andava solo ascoltato con la soddisfazione di un Capo dello Stato che ha preso molto sul serio la nostra Storia, ma anche ragionato per evitare che si fosse trattato di un momento importante ma fugace.
E torniamo al pensiero. C’è una frase di Bertrand Russel su cui bisogna fermarsi a ragionare: “Gli uomini temono il pensiero più di qualsiasi cosa al mondo, più della rovina, più della morte stessa. Il pensiero è rivoluzionario e terribile. Il pensiero non guarda ai privilegi, alle istituzioni stabilite e alle abitudini confortevoli. Il pensiero è senza legge, indipendente dall'autorità, noncurante dell'approvata saggezza dell'età. Il pensiero può guardare nel fondo dell'abisso e non avere timore. Ma se il pensiero diventa proprietà di molti e non privilegio di pochi, dobbiamo finirla con la paura”.
Allora, nel caso in esame, non bisogna avere paura: pur nello sfaccettato mondo autonomista a cavallo fra guerra e dopoguerra e nelle espressioni varie che ci furono alla Costituente e nel primo Consiglio Valle, quel che resta è la forza dinamica del sentirsi valdostani.
Questo vuol dire radici, come sostenuto in modo limpido dal capo dello Stato: “Memori della oppressione fascistq, le genti valdostane si interrogarono su quale percorso fosse di migliore garanzia di un quadro di libertà entro cui la loro autonomia potesse esprimersi liberamente, nello spirito di quella Carta di Chivasso o Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine, che aveva visto esponenti delle cosiddette valli valdesi ed esponenti valdostani, nel dicembre 1943, progettare il futuro”.
E ancora: “La interazione tra Valle e ordinamenti della Repubblica è stata di grande successo. La Valle è un esempio di tutela delle proprie risorse, di promozione culturale e di apertura, anche con il polo universitario, che visiterò di qui a poco e che, con il suo essere momento di incontro tra la tradizione francese e quella italiana concorre in modo inestimabile alla valorizzazione del patrimonio cultural e e di ricerca di Italia e Francia e alla identità condivisa”.
E vale la pena, infine, di ricordare queste parole da scolpire nella pietra: “Un valore, quello delle terre e dei popoli di frontiera che la Unione Europea ha saputo far crescere e valorizzare, dando sempre più spessore alla nostra cultura europea. L’edificio della democrazia è opera che si perfeziona giorno dopo giorno. Anche attraverso indicazioni di principio, semi gettati che, nel tempo, producono frutti, rafforzando la democrazia. La interazione tra Valle e ordinamenti della Repubblica è stata di grande successo. La Valle è un esempio di tutela delle proprie risorse, di promozione culturale e di apertura, anche con il polo universitario, che visiterò di qui a poco e che, con il suo essere momento di incontro tra la tradizione francese e quella italiana concorre in modo inestimabile alla valorizzazione del patrimonio culturale e di ricerca di Italia e Francia e alla identità condivisa”.
A me sembra che questo delinei, senza valor pensare ad un pensiero esclusivo ma nel quadro della legittima dialettica politica, un ruolo capitale – oggi e nel futuro, come fu nel passato – al mondo autonomista, se capace di tenersi al passo del mondo che cambia.
Il pensiero, insomma. Come diceva un grande politico come Leo Valiani: “Sovente, gli uomini trovano di aver interesse a non pensare o non hanno l'energia e la costanza intellettuale occorrenti per pensare sul serio. Ma se pensano, vincendo gli ostacoli pratici che si frappongono al pensare, possono giungere al vero”.