Che approccio avere quando si sceglie un luogo di vacanza? Ci penso ogni tanto quando ho degli ospiti in Valle d’Aosta e mi è capitato ad ogni età di dovermi adoperare su livelli diversi, secondo le necessità emerse per soddisfare una loro legittima aspettativa nei miei confronti.
In verità questo anche deriva dal fatto che ovunque io sia andato, specie per ragioni inerenti i miei doveri politici, mi sono sempre sentito obbligato-lusingato a fare pubblicità alla mia Valle e penso di averlo sempre fatto non in una logica stucchevole, ma nella piena consapevolezza della bontà di essere, quando utile, ambasciatore anche per il nostro turismo.
Per cui la prima cosa che ho maturato è una logica à la carte e cioè, esaminato chi viene da solo, in coppia, con amici o familiari con diversi gradi di confidenza da parte mia, credo di essere in grado di proporre un programma che si adegui alla categoria dei viaggiatori che arrivano.
Inutile pensare a escursioni impegnative per i pigri, immaginare mangiare pantagrueliche per chi pensa ad una remise en forme, fatua una overdose di cultura per cerca sport e viceversa.
Diciamo che l’esercizio in loco diventa istruttiva. La prima, che potrà fare sorridere, è che ogni volta anche per chi ha rivoltato la Valle come un guanto esiste la scoperta, talvolta stupefacente, di nuovi spunti da proporre. Lo stupore deriva da certe originalità scovate ed anche - pur sapendo di avanzare un certo patriottismo - dal fatto che tutto si contenga in un territorio davvero piccolo e con un pugno di abitanti.
La seconda è che questo cercare un vestito da cucire addosso che sia giusto mi ha reso sempre più esigente nelle mie di vacanze alla ricerca di un mix che vada bene, stimolato da mia moglie che appartiene alla categoria delle organizzatrici compulsive che non sbaglia un colpo.
Cito il caso di questi giorni e magari ci tornerò per una affondo su di una parte di Africa che non conoscevo e pure in tanti posti ci sono stato. Per altro - apro parentesi - non basterebbero una decina di vite per soddisfare una curiosità febbrile di scoprire nuove mete, che sembra oggettivamente cozzare con il passare degli anni.
Scrivo da Johannesburg dove sono con qualche consapevolezza sui luoghi, mettendoci poi qualcosa di più selvaggio in Zimbabwe e in un grande parco ad uso safari e un pizzico di mare sempre nei paraggi, cui non posso fare a meno per il mio buonumore troppo spesso messo a dura prova di questi tempi.
Questa città e i suoi paraggi evocano pagine di storia che ho letto, romanzi di avventura, letture giovanili su tribù, Natura ed animali e in un colpo solo apro pagine nuove che immagino un giorno mi faranno compagnia, finendo nel carnet dei ricordi e delle emozioni che potranno scaturire nell’evocarli.
Nelson Mandela spicca dovunque in questa città e in questo Sudafrica terreno di storie coloniali con guerre combattute e tutto parla di lui. Non bisogna stupirsi, pensando ad un uomo che per contrastare le follie dell’apartheid, si era fatto 26 anni di prigione e ho visitato quei luoghi - prigioni comprese - che ne hanno fondato l’immagine sino al Premio Nobel della Pace nel 1993, lui fiero della difesa del diritto della maggioranza di coloro assieme a quel Frederik Willem de Klerk della maggioranza bianca, che da Presidente della Repubblica Sudafricana apri al cambiamento. Ma quel che mi ha colpito è che Mandela, uomo di grande coraggio e leader indiscusso con utopie rivoluzionarie seppellite per tempo, venga ricordato nella prigione ora sede della Corte Costituzionale assieme a Mahatma Gandhi.
Una specie di gioco a distanza perché in realtà i due, per ragioni soprattutto generazionali,non si incontrarono mai Gandhi, che passò 21 anni della sua vita in Sudafrica, dal 1893 al 1914, prendendo coscienza delle condizioni di vita nel paese lottò contro le discriminazioni razziali. Il Mahatma lavorò per il riconoscimento dei diritti dei suoi compatrioti e dal 1906 lanciò, a livello di massa, il suo metodo di lotta basato sulla nonviolenza, denominato anche Satyagraha: una forma di non-collaborazione radicale con il governo britannico, che esportò poi nella sua India.
Interessante cosa ha scritto, nel rapporto fra i due il giornalista Bernardo Valli: “Mandela non ignorava certo l'eredità di Gandhi. Ma è rimasto un uomo d'azione. I suoi modelli non erano i pacifisti. Lui non lo era. Sarà non violento quando potrà esercitare la violenza e non lo farà. Questa è stata la sua nobiltà. Una nobiltà africana, senza odio e desiderio di vendetta, o di rivalsa, che ne ha fatto un grande leader carismatico”.
Pensarci nei luoghi dove hanno vissuto allargata la prospettiva.