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28 lug 2024

Se la critica è ossessione

di Luciano Caveri

E’ chiaro che il diritto di critica e la polemica fanno parte della Politica e mi azzardo a usare la maiuscola, anche se assisto ad un suo progressivo degrado nei modi, nei comportamenti e purtroppo nei contenuti.

Trovo, infatti, che questa decadenza non solo si accompagni ad incultura e incompetenza – e gli elettori ne sono, eleggendo le persone, i primi responsabili – ma anche ad un uso distorto della dialettica politica, che diventa caciara e litigiosità, anche quando non ci sono delle ragioni reali per farlo.

Non mi sottraggo mai al confronto ed è normale che in certi contradditori i toni possano essere alti e si debbano usare astuzie, espedienti e qualche veleno. Ma trovo insopportabile la malafede e il clamore, che servono solo per fare rumore nella convinzione che una politica gridata e il costante disprezzo verso l’avversario politico siano un’arma vincente.

Capita in Consiglio regionale, come avvenne in altre assemblee di cui ho avuto l’onore di fare parte, di assistere talvolta a vere e proprie sceneggiate e a meschine esibizioni, il cui conto prima o poi tornerà a sfavore di chi ne fa un uso. Mi innervosisce la ripetitività di certi temi, che vengono proposti nelle iniziative ispettive (interrogazioni, interpellanze, mozioni, ordini del giorno) in maniera quasi maniacale, riprendendo argomenti a breve distanza da quando sono già stati affrontati mille volte. E non è un repetita iuvant, perché è, invece, un’ossessione, che deriva non solo con tutta evidenza da una mancanza di argomenti, ma anche da un approccio di chi crede che la politica si esprima ripetendo mille volte le stesse accuse e riprendendo argomenti ormai triti e ritriti.

Talvolta questo avviene in una logica di piccole lobbies o persino di casi singoli, che neppure hanno un valore universale, ma seguono la logica del “una testa, un voto” di chi ha come scopo precipuo le elezioni a partire dallo stesso giorno in cui è stato eletto. Questo falsa la politica che diventa solo la ricerca spasmodica del consenso.

E’ ovvio che il rapporto con gli elettori è importante, ma non deve diventare l’unico scopo. E lo scrivo con il massimo rispetto per le elezioni. Diceva Luigi Einaudi: “Il suffragio popolare è un mito e su ciò credo che potremo essere tutti d’accordo; ma è un mito necessario ed il migliore che finora sia stato inventato”.

Non mi abituerò mai alla logica del partito preso e cioè di chi non giudica una scelta, un progetto o un programma, ma segue la logica con cui il toro insegue la muleta del torero, attaccando a testa bassa senza neppure discernere gli argomenti e soprattutto seguire le argomentazioni che sono all’origine di certe decisioni. Vengono poste nelle assise elettive delle domande e tu potresti rispondere nel miglior modo possibile, fornendo quanto necessario per capire, ma ti accorgi che nella controrisposta – spesso già predisposta a prescindere – non si affronta il merito ma si ripetono tesi che già sono state smontate.

Per troppi contano solo l’aspetto ideologica e la posizione preconcetta rispetto alla semplice realtà dei fatti. Per carità, si sopravvive a queste prove e più che arrabbiarsi vale l’arma letale dell’ironia o la pacatezza della rassegnazione rispetto a chi fa finta di non capire. Da qui la famosa questione: meglio avere a che fare con gli stupidi o con i cattivi?

Le risposte sul punto possono essere varie. Blaise Pascal dal fondo della sua fede diceva: “Gli animi buoni e grandi si sforzano di trovare il bene anche nel male, mentre i mediocri e i malvagi trovano il male persino nel bene”. Mi pare una considerazione tombale.