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28 giu 2024

Ricordi senza il torbido

di Luciano Caveri

Capita che d’improvviso si aprano dei ricordi. Faccio due esempi, che servono a capirci.

Ieri è stata inaugurata la nuova sede dei giornalisti valdostani, categoria a cui appartengo in termini formali – con iscrizione nell’elenco dei praticanti nel 1980 - anche se già prima avevo cominciato a provarci. Durante gli interventi, è stato evocato con gentilezza il mio ruolo attivo per il distacco della Stampa Valdostana, con propria autonomia dalla Stampa Subalpina, organizzazione piemontese che aveva una specie di addendo in Valle.

Eletto Presidente di quella costola piemontese come se fossimo una loro Provincia venni minacciato dal vecchio pubblicista che era stato defenestrato che mi augurò le peggio cose. Come scopo primario cominciai a lavorare affinché la Federazione Nazionale della Stampa, con riforma del suo Statuto, consentisse alla Valle d’Aosta di avere una propria rappresentanza su base regionale della categoria. Così avvenne nel 1992 ed ebbi la soddisfazione di essere eletto come primo Presidente, malgrado fossi all’epoca Deputato e lo ritenni un riconoscimento di cui andare fierop. E in Parlamento, non molto tempo dopo, venne modificata la legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti per consentire anche in questo caso di avere un Ordine della Valle d’Aosta distaccato da Torino. All’epoca, infatti, era necessario, essendo pochi professionisti, che ci fosse per la sua nascita un numero troppo alto di iscritti.

Come ripeto spesso, ho sempre avuto – come un Giano bifronte – l’idea che il volto del politico dovesse mantenere, come perenne contraltare, anche quello del giornalista, che resta il mio lavoro “vero”, pur considerando che l’attività politica – pro tempore per definizione per via delle elezioni cui si è sottoposti – deve essere svolta con impegno professionale senza sentirsi professionisti della politica per l’intrinseca possibilità di uscire di scena per via del giudizio popolare delle urne.t

E invece questa mattina – argomento più terra a terra – evoca la spiaggia della mia infanzia e della mia giovinezza. Chi ha avuto la fortuna, grazie alla mamma originaria di lì, di vivere numerose e lunghe estati a Imperia (città con il clima migliore in Italia da apposita e recente classifica!) non può che ricordare – inchiodato come sono in questi giorni fra le montagne – che cosa sia la vita da spiaggia. Un rito che solo stando stanziale qualche mese si capisce fino in fondo con quella socialità fatta di momenti ripetitivi e rassicuranti fra l’ingresso, la battigia e il mare. Ho le foto di me sguazzante in un canotto quando avrò avuto sei mesi e poi – come avviene con le sequenze fotografiche che sono testimonianza con ritmi meno ossessivi di quanto avviene oggi - la crescita attraverso un percorso iniziatico. Dai castelli di sabbia alla sfida con le biglie su piste tracciate con il sedere, dalle interminabili partitelle di pallavolo in acqua alle lunghe battute di pesca con la fiocina nel mare antistante, dalla pizza comprata al bar dei Bagni ai primi flirt con incursioni notturne sulla sabbia. Penso alla compagnia del “muretto” e della balconata sulla spiaggia con la vera rivoluzione del motorino e poi della Vespa spedite in treno dalla Valle d’Aosta e simbolo di libertà per scorrazzare nella Riviera di Ponente alla ricerca di angoli suggestivi, compreso quell’entroterra che più di tanto altro resta uno dei cuori della Liguria.

Questa mia non è nostalgia, termine che deriva dal greco antico. Nasce dalla fusione di due termini, nóstos. che significa "ritorno", e àlgos, ovvero "sofferenza". Perciò, nostalgia indica il dolore e la tristezza provati dal desiderio che qualcosa ritorni oppure dalla voglia di ritornare in un momento preciso della nostra vita.

No, anzi, perché certi ricordi non mi fanno precipitare nel passato, ma semmai sono come pensieri che ti ricongiungono con te stesso, come creazione nel tempo di quello che sei oggi. E ha ragione da vendere Mario Rigoni Stern, quando scriveva: “I ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia: rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo. Non bisogna agitarla, la bottiglia”.