Anni fa mi chiedevo che cosa si potesse fare del crescente numero di negozi che sono inutilizzati e vuoti, ormai senza apparente speranza di riutilizzo. Nel nostro piccolo questo avviene nell’unica grande città della Valle d’Aosta, Aosta, e nel resto della Regione.
Capita di constatare come il fenomeno di desertificazione che svilisce paesi, quartieri e vie esista in tutta Italia e direi in buona parte dell’Europa. Colpa dei grandi centri commerciali prima con l’aggiunta degli acquisti online, che oggi hanno suonato un evidente de profundis per certo commercio tradizionale.
Roberto Bargone su Repubblica così ha scritto del fenomeno e-commerce: “È stata la pandemia a fare in modo che le vendite online divenissero un’abitudine comune. Certo, l’e-commerce era già massicciamente presente nella società, specie tra i più giovani, ma l’impennata vera e propria si è avuta dal 2020 in poi, quando l’acquisto in rete è entrato nelle abitudini delle generazioni più anziane (i nati tra gli anni ’50 e i ‘70). E, se il 2022 ha rappresentato un momentaneo rallentamento nella crescita dell’e-commerce, nel futuro quest’ultimo assumerà un ruolo sempre più rilevante. A tal proposito uno studio della Boston Consulting Group (Bcg), citato nello stesso articolo, dice che “entro il 2027 il 41% delle vendite al dettaglio avverrà su canali online. Nel 2018 era solo il 18%”.
Ricordo di aver letto - ed è ovvio il collegamento - che gli spazi lasciati vuoti saranno destinati ad aumentare. Il 25 per cento dei tradizionali spazi commerciali nei cosiddetti mercati maturi occidentali sarebbe obsoleto di fronte alla sfida della vendita sul Web. Osservavo in queste ore, facendoci attenzione, il via vai ormai parossistico dei corrieri che vanno e che vengono dappertutto per le loro consegne. In un grosso magazzino delle Poste, nel mio paese Saint-Vincent, dove sono entrato un giorno, mi è parso per la numerosità dei pacchi come la sede di Babbo Natale al Polo Nord prima del 25 dicembre.
Mi pare di notare che in certe zone si incomincino a occupare i negozi con studi professionali di vario genere e spuntino pure abitazioni vere e proprie. Ma sono fenomeni marginali rispetto ai vuoti.
Lo spopolamento di comuni più piccoli, cui si somma il calo demografico causa da tempo e cioè quello delle case vuote. In una classifica provinciale la Valle d’Aosta, che viene infilata in questa classifica, risulta dopo Sondrio al secondo posto per il numero di abitazioni non occupate in modo permanente con un dato ISTAT che superava il 56% sul totale delle unità immobiliari.
Ora, è chiaro che la cifra eclatante è legata al grande numero di seconde case di turisti e di residenti spostatisi dal paese natale, ma basta guardarsi attorno per capire ad occhio quante case siano ormai vuote. Un numero destinato a salire e anche in questo caso, come per gli esercizi commerciali, c’è da chiedersi che cosa fare e lo sa bene chi cerca di affittare o vendere in certe zone case di famiglia abbandonate su cui la tassazione macina denaro anno dopo anno. Leggo su di una pubblicazione dell’Università di Milano un contributo sul tema intitolato: “Case vuote e abbandonate: prospettive di valorizzazione e riuso di Igor Costarelli”.
Si racconta in un passaggio quanto provato anche in zona alpina: “Il progetto delle case a 1 euro si rivolge ai proprietari di case private in disuso disponibili a cedere l'immobile all'amministrazione comunale aderente al progetto che a sua volta lo venderà ad un prezzo simbolico di 1 euro. Il futuro acquirente deve garantire la ristrutturazione dell'immobile entro un periodo stabilito dal comune, di solito da 1 a 3 anni dall'acquisto. In questo modo il proprietario può liberarsi di un immobile vecchio e in stato avanzato di degrado, spesso anche pericoloso per l'incolumità e oneroso per le tasse sugli immobili dovute. I comuni, facendosi da garante fra proprietario privato e i soggetti che si prendono l'onere di ristrutturare, possono creare i presupposti favorevoli per riabilitare il patrimonio abitativo abbandonato, attirare nuove popolazioni e attività economiche valorizzando il turismo in aree di particolare pregio paesaggistico”.
Più aventi alcune idee: “Il patrimonio abitativo vuoto e abbandonato può rappresentare una risorsa per rispondere ad alcune sfide attuali e future. Le oltre sette milioni di abitazioni vuote possono essere mobilitate per sviluppare soluzioni in grado di assicurare l'accesso alla casa ad una parte più ampia della popolazione esclusa dal welfare abitativo. Allo stesso modo, intervenire migliorando l'efficienza energetica del patrimonio abitativo più obsoleto - costruito ormai oltre 40 anni fa - può migliorare il benessere degli abitanti e contrastare la povertà energetica. Case vuote e abbandonate costituiscono infrastrutture abitative potenzialmente importanti per l'agenda di sviluppo nelle aree rurali e marginali del paese. Al fine di progettare usi più virtuosi di questo patrimonio è tuttavia necessario conoscerlo meglio. I dati oggi disponibili, infatti, non consentono sempre di distinguere chiaramente tutte le caratteristiche del patrimonio inutilizzato, presupposto essenziale per elaborare progetti e politiche efficaci. Le modalità di intervento per valorizzare il patrimonio inutilizzato dovranno prestare particolare attenzione alla localizzazione (urbano - rurale) e alla titolarità del diritto di proprietà (pubblica o privata) poiché da queste dipendono tanto la definizione del problema quanto l'inquadramento delle risposte a tali problemi (Moroni et al. 2020). Nei contesti urbani, specialmente quelli dove la tensione abitativa è maggiore, il riuso del patrimonio inutilizzato può essere orientato alla riduzione delle disuguaglianze abitative e sociali anche attraverso una rinnovata attenzione agli spazi inutilizzati diffusi nei quartieri che possono trasformarsi in luoghi del welfare di comunità. In ambito rurale, o in altre aree meno densamente abitate, occorrerà riabilitare il patrimonio inutilizzato e costruire un'offerta articolata di servizi e opportunità per rendere questo patrimonio vivibile dopo averlo recuperato“.
E infine uno spunto decisivo: “Nuove opportunità si aprono anche grazie alle nuove forme di telelavoro, alla ricerca di nuovi stili di vita fuori città indotti dalla pandemia e ad alcune recenti tendenze che vedono molti giovani ritornare nelle zone rurali per lavorare nel settore dell'agricoltura. Al fine di regolare questi processi e iniziative - che possono naturalmente avere degli effetti indesiderati o inattesi sulla comunità locale - sarà particolarmente importante il ruolo di regia dell'attore pubblico anche nell'ipotesi di estendere o replicare tali modelli di intervento su larga scala”.
Ci aggiungerei il lavoro agile dei valdostani che può fare la sua parte, ma svuoterà uffici con un effetto domino su spazi pubblici difficili da riutilizzare.