È abbastanza singolare, ma a tratti diventa pure deprimente, l’uso distorto che si fa dell’articolo 21 della Costituzione. Il testo, di per sé stesso, dovrebbe essere chiaro: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. In realtà poi ognuno interpreta la norma come vuole: chi in termini estensivi e chi in termini restrittivi, a seconda delle convenienze.
Molto significativo è il caso di Luciano Canfora, quando lascia il terreno delle lettere classiche in cui eccelle, e plana sulle polemiche politiche contingenti nella sua veste di ammiratore - udite, udite! - di Stalin, come espliciterò. Annotava, infatti, in queste ore Pierluigi Battista su Huffpost: “Perché Luciano Canfora. membro autorevole della confraternita che in questi anni si è schierata con baldanza nella difesa a oltranza dell’autonomia della magistratura, considera un attacco alla sua libertà d’espressione il fatto che la premier Meloni lo quereli per diffamazione? Non aveva detto fino all’altro ieri che la magistratura non si fa dare ordini dalla politica, che giurerebbe sull’assoluta indipendenza dei giudici? Adesso siamo quasi all’opera buffa: uno stalinista impenitente come Luciano Canfora che in quanto stalinista non ha come si dice un rapporto sereno con i princìpi della democrazia e dello Stato di diritto, dà della “nazista” a Giorgio Meloni inserendola goffamente in un discorso, si noti bene, in cui dà del “nazista” a Zelensky e all’Ucraina (da “denazificare” putinianamente parlando?), perché pretende che la reazione di chi si sente diffamato vada equiparata a un attacco alla libertà di critica? E i magistrati che giudicano non sono più indipendenti, sono manovrati politicamente, cosa negata fino all’altro ieri? Si fanno dettare la linea giudiziaria dalla Meloni? Risentono del “clima” (che coraggio civile che avrebbero in questo caso gli indomiti indipendenti!)? Un giorno si dice una cosa, il giorno dopo l’opposta. Dipende dalle circostanze, e dall’umore nero di Luciano Canfora, sempre meno pericoloso dell’umor nero del suo idolo Stalin”.
Già, proprio così. Basta un rapido giro per capire quanto sia controcorrente chi oggi abbia nostalgie del Baffone: nel 1994 il Professore sostenne che “Uno statista può essere valutato per quello che ha fatto per il suo Paese. L’opera di Stalin è stata positiva, anche se aspra, per la Russia, al contrario di quella di Gorbaciov”. Qualche anno dopo aver definito “aspro” lo stalinismo, sul Corriere della sera su Stalin affermò che ”la revisione, il ridimensionamento e la rozza equiparazionedi Stalin con gli altri dittatori" e segnalò la grandezza di "Stalin nei 25 anni di potere assoluto che avevano fatto della Russia una grande potenza rimasta tale anche dopo la fine dell'Urss... E del ritorno di Stalin come grande figura della sua storia nazionale c'è poco da stupirsi".
Ci vuole davvero un bel coraggio a dire cose del genere, così come ci vuole altrettanto coraggio a dire della Meloni: “Essendo neonazista nell'anima si è subito schierata con i neonazisti ucraini”.
Questa logica dell’insulto nel nome della libertà rischia di diventare un grande alibi e il caso specifico è utile, perché a dare eco alle dichiarazioni di Canfora ci hanno pensato, con eco senza eguali in passato, i sistemi legati ai Social. Un tam tam, che approfitta anche troppo spesso della “copertura” dell’anonimato, che finisce per colpire la reputazione delle persone con poche possibilità di reazione e con controlli di fatto nulli da parte di chi gestisce determinate piattaforme dove calunnie, diffamazioni, dileggi, persino incitamenti alla violenza dilagano gravemente.
Con gli avversari politici è legittimo adoperare toni e espressioni forti e ciò vale per la manifestazione delle proprie opinioni, ma esistono dei confini per farlo da non superare mai, da qualunque parte politica provengano.