Ci sono situazioni in cui perdo la pazienza, che si riducono con gli anni perché si dice che, invecchiando, si guadagna saggezza.. Per evitare che mi venga la mosca al naso dovrei coltivare giardinetti zen e contare fino a cento prima di sbottare e ricordarmi come un mantra dell’importanza di valorizzare le necessarie doti migliorative del proprio temperamento, specie quando questo diventa un alibi.
Le esprime bene una frase di Bertrand Russell: ”Saranno necessarie un certo numero di amare lezioni prima che gli uomini possano imparare che la gentilezza e la tolleranza non sono semplici virtù, ma anche gli strumenti indispensabili alla loro felicità”.
Ci pensavo, riflettendo sui casi di scuola in cui mi snervo. Temo che sia un riflesso condizionato non solo caratteriale e dunque espressione profonda da DNA e come tale difficile da estirpare, ma anche frutto di quell’impronta indelebile che viene dall’educazione che mi è stata impartita. Caratteristica impressa a fuoco che può essere al nostro fianco come un angioletto o un diavoletto, a seconda delle circostanze.
Tutto ruota, come uno zaino che uno ha sulla schiena, attorno al l’espressione “senso del dovere” che pare mio papà avesse ereditato dal nonno e lui da suo papà. Se si smanetta sul Web si scopre che dietro questa definizione ci sta un mondo e, come tutto, può essere un bene e un male e gli psicologi ci sguazzano.
In soldoni dovrebbe essere più o meno questo: la capacità di tenere fede agli obblighi presi, assumersi le proprie responsabilità, gestire con cura le attività che si svolgono. Catene niente male da caricarsi e non so davvero se mai sono stato degno di responsabilità così impegnative. Eppure, quel che più mi fa arrabbiare è proprio quando, nel rapporto con gli altri, noto il contrario: vedo non rispettare gli impegni, svicolare dai propri obblighi, esprimere sciatteria in quel che si deve fare. Intendiamoci: è sempre più facile criticare i comportamenti altrui che i propri, ma assicuro che in certi casi in cui sgarro mi vengono inquietanti sensi di colpa.
Tutto ruota in fondo, uscendo dal particolare del proprio modo di essere, in un necessario equilibrio che trovo sempre interessante da esaminare fra diritto e doveri, che dovrebbero essere facce della stessa medaglia. Non ci possono essere diritti se non ci fossero doveri, e viceversa. Norberto Bobbio, politologo e giurista, diceva: ”I nostri diritti non sono altro che i doveri degli altri nei nostri confronti”.
Non mi infilo nella profondità del tema giuridico, che pure è appassionante. Noto nella semplice quotidianità la presenza di moltissimi che hanno perfetta coscienza dei propri diritti, mentre dimostrano una labile contezza dei propri doveri. Lo diceva in maniera ispida la giornalista Oriana Fallaci: “In Italia si parla sempre di Diritti e mai di Doveri. In Italia si finge di ignorare o si ignora che ogni Diritto comporta un Dovere, che chi non compie il proprio dovere non merita alcun diritto”. Questo oblio della reciprocità è quanto mi urta di più e non riesco a rifarmi al salutare esercizio di non indignarmi e così mi trovo con il naso, già imponente per dimensioni, con troppe mosche da scacciare.
Lo faccio, ricordando quel bizzarro politico che fu Winston Churchill: “Un uomo fa quello che deve – nonostante le conseguenze personali, nonostante gli ostacoli e i pericoli e le pressioni – e questo è la base di tutta la moralità umana”.