“La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità”. Così Piero Calamandrei, Capogruppo all'Assemblea Costituente del Partito d'Azione, nel momento in cui l’attuale Costituzione italiana, rimasta la stessa nelle sue grandi linee. Se una lezione viene da quella Costituente fu lo sforzo, nella temperie del secondo dopoguerra, è la presenza dello “spirito costituente”, inteso come un idem sentire, al di là delle divisioni e delle discussioni.
Non questione di poco conto e dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, di come cambiamenti di sostanza di una Costituzione non possono essere unilaterali e a freddo, ma devono essere condivisi e sentiti. Su questa questione si è aperto un dibattito per la volontà di Giorgia Meloni e della sua maggioranza di avanzare con rapidità – quanto ha portato sfortuna in modo eguale in passato alla riforma costituzionale sia di Berlusconi che di Renzi, bocciate entrambe dal referendum popolare – sulla question del Pemier eletto dal popolo.
Ha scritto su Repubblica, in questi giorni, un vecchio giurista e politico, Nicolò Lipari: “L’elemento costitutivo di una istituzione sta in un rapporto triadico che non si risolve nella dialettica amico-nemico (quella alla quale Carl Schmitt riduceva l’essenza della politica e nella quale, non a caso, il nazismo ha raggiunto la coscienza storica di sé), ma nella capacità di ampliare al terzo (qualunque terzo) la dialettica della relazione duale facendone un fatto collettivo. Solo una simile apertura consente di riferirsi ad una identità condivisa, appunto ad una istituzione. Ed è proprio questa sensibilità che oggi è venuta meno e si riflette in un sempre più diffuso rifiuto (specie da parte delle nuove generazioni) di qualsiasi impegno politico. Se anche il momento costituente viene ridotto alla logica della contrapposizione conflittuale (e questo sarebbe l’inevitabile risultato di un referendum, quale che ne fosse l’esito) viene meno il rapporto triadico dell’istituzione e questo viene sostituito dal rapporto fusionale tra il popolo (anzi, solo una porzione di esso) e una parte politica o addirittura il suo leader”.
Lipari riprende una proposta già avanzata da altri contro una riforma costituzionale pilotata unilateralmente dal Governo: “Parlare dunque di un’Assemblea costituente non significa semplicemente richiamare un luogo, una forma, ma creare le premesse di una dialettica molteplice, di un confronto che non sia in funzione di un’appartenenza previa, ma di una prospettiva condivisa, di un risultato capace di innevarsi nel contesto di una società a prescindere da collocazioni, parzialità, vittorie o sconfitte. Una Costituzione non può essere il risultato dell’esercizio di un potere (quale che esso sia, legislativo o referendario), ma l’espressione di una cultura, di una sensibilità diffusa. Il problema semmai consisterà nei modi di organizzazione della costituente mobilitando tutti i mondi vitali che ancora esistono in questo Paese”.
E così conclude: “Certo, non è facile oggi ricostituire lo spirito costituente, una sensibilità attenta ai traguardi da raggiungere, ai valori da attuare, non alla duttilità degli strumenti volti a conseguirli. Ma proprio la consapevolezza di questa difficoltà ci devi indurre non ad incentrare il dibattito sulle forme, ma piuttosto sui presupposti culturali ai quali queste forme prima o poi si adatteranno. I giuristi ormai dovrebbero avere appreso che il diritto non può essere ridotto alla manifestazione di volontà del titolare di un potere, ma deve nascere dalla società e dalla cultura in esso circolante”.
Immagino che Meloni tirerà dritta, prendendo i suoi rischi, sulla base del rapporto carismatico con una buona parte del popolo italiano. Fin che dura.