Ho lavorato a Roma e lo faccio da sempre ad Aosta, così come a Bruxelles con esponenti di tutti i partiti politici, com’è giusto fare in una democrazia. Un tempo esisteva, anche nella peggior polemica pubblica o nelle baruffe della vita parlamentare, un fondo di rispetto reciproco sul piano personale, che ormai, specie nel rapporto con le ali estreme, è saltato, perché imbevuto in egual misura di populismo e di demagogia. L’avversario è un nemico, punto e basta e si adoperano sempre più metodi extrapolitici, come ad esempio la delazione giudiziaria con esposti e denunce, anche immotivati. Ma l’aspetto più propriamente valdostano, non nuovissimo ma sempre più esteso, è il dirsi con enfasi “anche noi siamo autonomisti!”. Straordinario tentativo mimetico: partiti nazionali, spesso nazionalisti o dell’ormai noto rossoverde ambientalista, che in ambito locale urlano il loro autonomismo come elemento del loro DNA. Scelta furbesca e contronatura rispetto alla loro vera…natura. Ogni volta questa storia evoca l'espressione spagnola «Todos caballeros» (in italiano «Tutti cavalieri»). Sarebbe stata pronunciata da Carlo V davanti ad una folla paludente, durante una visita ad Alghero (dove ancora oggi ci sono gli eredi dei catalani giunti come coloni nel Trecento) avvenuta tra il 7 e l'8 ottobre del 1541. L'espressione è oggi utilizzata in tono dispregiativo per descrivere quelle proposte tendenti ad estendere urbi et orbi dei particolari privilegi, annullando così di fatto la distinzione o il prestigio derivante dagli stessi; allo stesso modo viene utilizzata per connotare l'esito di una vicenda nel quale tutti si proclamino vincitori. Sul perché avesse detto quella frase, dando per ora per buono che ci sia stata, ci sono diverse teorie: un riconoscimento alla tenuta della comunità catalana a due secoli dall'arrivo in terra sarda; un saluto ad illustri cittadini locali che avrebbero seguito il Re in una spedizione a Tunisi; un plauso per la mattanza di animali - avvenuta in una sorta di "corrida" - che sarebbero state imbarcate come provviste per il viaggio in Africa; una risposta maldestra ad una folla che reclamava per filarsela via in fretta (si dice per impellenti esigenze fisiologiche...). Già questa serie di ipotesi scricchiola. Scrive sul tema "Sarda News" in modo tombale un autore di cui non ritrovo il nome: "Avendo constatato come sia ancora radicata, così fra i divulgatori come fra gli uomini di cultura, la convinzione che l'imperatore Carlo V, in occasione della sua visita alla Città di Alghero nel 1541, abbia elevato tutti i suoi abitanti alla dignità cavalleresca, mi sento in dovere di avvertire, come algherese, che si tratta in realtà di una frottola tendenzialmente canzonatoria della quale si ignora l'origine. Ho letto da cima a fondo, sia nella versione originale in lingua catalana, sia nella traslazione in lingua italiana proposta tempo addietro dal nostro concittadino Mario Salvietti (vedi "Carlo Quinto in Alghero. La relazione di Johan Galeaҫo nell'originale trascritto, tradotto e commentato", Edizioni del Sole, Alghero 1991), il resoconto delle due giornate trascorse dall'imperatore del Sacro Romano Impero sul suolo algherese, e posso assicurare che in nessuna parte di quel documento storico si fa cenno ad un fatto come quello in questione. Johan Galeaҫo era un notaio algherese che all'arrivo di Carlo Quinto ricopriva l'ufficio pubblico di consigliere civico, e come tale era stato incaricato dall'Amministrazione di stilare una relazione ufficiale da conservare nell'archivio cittadino ad eterna memoria dell'avvenimento. Egli assolse il suo compito con grande scrupolo e precisione, spesso accompagnando il sovrano nei suoi spostamenti, talvolta dando ascolto a quanto potevano riferirgli altri personaggi autorevoli. Dobbiamo a lui la conoscenza dell'espressione «Bonita y bien asentada» sfuggita al monarca mentre, attorniato dalle massime autorità locali, osservava la roccaforte dall'alto di un poggio poco distante dalla Torre dello Sperone". Insomma: il Re non l'ha detta questa frase, ma è rimasta lo stesso nel significato poco simpatico, ma così sintetica da diventare proverbiale. Perché ne me occupo? Per tigna ("puntigliosità" suona meno popolaresco), guardando come non mai allo schieramento politico valdostano e al «Todos autonomistas», che ormai impazza. Per carità, non ho autorità alcuna per dispensare patenti di autonomismo, ma contano le cose fatte più che le cose dette nel link fra esponenti locali e quanto realizzato dai loro referenti nazionali. Basta poi ascoltare certi discorsi o interventi in sedi ufficiali per vedere che, tolta la pagina di superficie, manchino certi fondamentali sull’ordinamento valdostano e persino sulla storia e geografia, che mostrano vuoti che caducano l’affermarsi background autonomista. Peggiorano le cose per alcuni se si apre il capitolo federalismo, che è peculiarità ormai esclusiva delle forze autonomiste, che a breve si riuniranno in una sola entità, che è quella primigenia. Nessuno osa più usare il termine “regionalista”, che forse andrebbe bene per chi non ha mai saluto fino in cima le scale dell’autonomismo. Resta poi il capitolo indipendentismo, che rispetto, ma di cui al momento mi sfuggono i passaggi istituzionali proposti per arrivarci e non è cosa di poco conto. Caso a parte è quello di chi entrò nel mondo autonomista per scelta opportunistica per poi uscirne con logica da voltagabbana senza alcun pudore. Quel che resta, alla fine, è la speranza che i valdostani sappia distinguere le mele dalle pere e che tornino a votare, perché altrimenti saranno altri a decidere del loro futuro.