Nessuno vive in una bolla e la globalizzazione si è affermata sempre di più e non esiste un buen retiro che ci ha ripari dai mali del mondo. Da quando esiste l’autonomia speciale e persino nel periodo che l’ha preceduta dopo la Liberazione, il problema per gli autonomisti valdostani - che certo nel dopoguerra non si sarebbero potuti chiamare nazionalisti, dopo aver combattuto il fascismo- è stato quello di chi scegliere come alleato. Sei si scorre l’elenco dei Governo regionali, quando gli autonomisti hanno governato lo hanno fatto con formule varie, secondo quel che proponeva lo scenario volta per volta. Sino alla teorizzazione del “ni droite, ni guache”, che veniva venduto da chi si trovava a tour de rôle all’opposizione come una sorta di furberia, per poi essere pronti loro stessi a scegliere gli autonomisti se ben accolti. Ora si aggiunge un elemento su cui riflettere bene: come reagire all’accentuarsi dei populismi, che ormai palesemente sono terreno di caccia degli opposti estremismi destra e sinistra, che si somigliano in molti aspetti per i loro ideologismi e fissazioni chiusi a qualunque dialogo che non sia l’affermazione delle loro idee. Sul fronte destro segnalo l’acuta analisi degli amici del Grand Continent: “Dopo questa settimana di elezioni, dai Paesi Bassi all’Argentina, la domanda non è illegittima. Da una parte, Javier Milei sembra una specie di Elvis che sta raschiando il fondo del barile. Dall’altra, Geert Wilders potrebbe essere un vampiro kitsch uscito da un film di Ed Wood. Tutti e de fanno pensare a Donald Trump la cui tinta arancione sarebbe un oggetto di scherno, se non fosse diventata ormai una metonimia dello stile brutale dell’uomo forte del partito repubblicano”. Una sorta di invasione di politici vistosi e grezzi: “Per dirla tutta, i paragoni non finiscono qui. Se l’ingresso di Trump in politica è stato segnato dal susseguirsi di insulti e ingiurie verso tutti coloro che gli si opponevano, i suoi emuli olandese e argentino non sono stati da meno. Nei Paesi Bassi, Wilders, vero veterano del populismo nazionalista, ci ha dato prova della sua passione per la legge di Godwin: per lui l’Unione europea è uno stato nazista e il Corano un nuovo Mein Kampf… Per quanto deliranti possano sembrare, queste sparate fanno magra figura davanti alle dichiarazioni di Javier Milei negli scorsi tre anni, dopo il suo ingresso in politica”. Ecco le sue prodezze: “In un articolo approfondito, che analizzava tanto le idee quanto lo stile del presidente argentino quando era solo un candidato, Pablo Stefanoni si è impegnato a fare un’antologia delle sue uscite più folli: «Tra la mafia e lo Stato, preferisco la mafia. La mafia ha dei codici, mantiene le promesse, non mente, è competitiva» ; «Il Papa è il rappresentante del Maligno sulla Terra» ; «La vendita di organi è un mercato come un altro» ; e così via… Mentre si avvicinava al secondo turno delle elezioni, ha ancora indurito i toni, con delle sfuriate contro gli «zurdos» (la sinistra) – modo che usa per designare quasi tutti i suoi oppositori – che bisognava schiacciare. In Milei c’è qualcosa del Joker. Un buffone certo, ma un buffone molto pericoloso”. Sui Paesi Bassi le Grand Continent presenta uno scenario ben definito: “Una cosa è certa: se Geert Wilders riuscirà a formare un governo, sarà perché le altre formazioni centriste e di destra avranno scelto di sostenere un partito che promette una politica di «immigrazione zero» e un referendum sull’adesione dei Paesi Bassi all’Unione europea. Se anche Wilders scegliesse di moderare alcune delle sue posizioni più estreme – cosa che sembra aver deciso di fare da qualche giorno – una partecipazione in coalizione o un sostegno esterno da parte dei liberali o di Omtzigt segnerebbe una rottura storica senza precedenti. Contribuirebbe a trasformare ancora l’equilibrio politico dell’Unione, a se mesi dalle elezioni europee. In questo momento, i partiti a destra del PPE partecipano al governo di quattro Paesi europei: Italia ovviamente, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. Ad eccezione di Orban, veterano del nazionalismo europeo, tutti gli altri sono arrivati al potere negli ultimi due anni. L’arrivo di Wilders al governo confermerebbe questa tendenza, nel momento in cui i paritti neonazionalisti sono in testa ai sondaggi in otto Paesi europei (tra cui la Francia) e in seconda posizione in altri cinque (tra cui la Germania). Marine Le Pen non si sbaglia a festeggiare la vittoria da due giorni. E non si sbaglia nemmeno Matteo Salvini, che ha invitato il 3 dicembre a Firenze i principali leader neonazionalisti: Marine Le Pen, Alice Weidel di AfD e probabilmente anche Geert Wilders”. Ma ecco il punto politico in senso stretto: “Mentre la sinistre europee sono in difficoltà ovunque – con la notevole eccezione della Spagna in cui Pedro Sanchez è rimasto in sella al prezzo di un accordo politicamente complesso con i nazionalisti catalani – è ancora più doveroso seguire questo slancio dei neonazionalisti, dal momento che trova un’eco mondiale. Questo è l’oggetto di un importante studio firmato da Bernabé Malacalza e Juan Gabriel Tokatlian, che analizzano le conseguenze della «ascesa di un’Internazionale reazionaria de facto, che è multiforme, geograficamente dispersa e ideologicamente eterogenea». Mentre questa ha aperto un fronte argentino – aspettando di vedere cosa accadrà nei Paesi Bassi – gli autori mostrano come questi movimenti politici siano animati da una visione profondamente complottista delle relazioni internazionali, autentico prolungamento della loro retorica xenofoba e populista”. La frase finale è una sveglia: ”I neonazionalisti non sono ancora forza egemonica. Ma potrebbe durare ancora per poco”. Per loro - e che i valdostani lo capiscano - la logica resta il centralismo statuale, la tentazione autocratica, il disprezzo per le minoranze e le diversità culturali, oltreché una carica di revanscismo nato dalle proprie ceneri, che è necessario ritenere intollerabile per una popolazione alpina dal necessario spirito europeista