Le parole vanno e vengono e bisogna farsene una ragione. Pensiamo a “resilienza”, che è stata così abusata da finire con grande rapidità nel dimenticatoio. Ora è subentrata la sorellastra “sostenibilità”, adoperata in tutti i contesti possibili. Nasce in quel lessico dei documenti internazionali, che poi si impone per un generale martellamento. Se si deve essere precisi spunta dall’inglese “sustainability”, ma con quarti nobili dal latino “sustinere”, che significa sostenere, difendere, favorire, conservare, prendersi cura. L’attuale concetto di sostenibilità cominciò a diffondersi negli anni ‘80 e venne adottato ufficialmente a Stoccolma, in Svezia, nel rapporto “Our Common Future” pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente e poi rimbalza sino al successo odierno in Conferenze analoghe da Stoccolma a Rio de Janeiro. E proprio in Brasile l’abbraccio con “sviluppo”, che sortisce “sviluppo sostenibile” nella ben nota Agenda 21. Una definizione facile a dirsi, ma difficile a farsi. Sarebbe: “Uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”. Dieci anni dopo il Summinit di Rio de Janeiro, le azioni dell’Agenda 21 si sono rafforzate in occasione del vertice della Terra sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg con l’ambizione di mettere assieme le dimensioni sociale, economica e ambientale. Da allora, in modo invasivo, il termine sostenibilità è stato incorporato e utilizzato dalla politica, dalla finanza, dai mass media sino a calarsi - come il prezzemolo - nell’uso comune e lo si vede bene da come la pubblicità di qualunque prodotto usi la parola in modo ossessivo e talvolta grottesco. Quanto durerà? Il tempo che un nuovo termine chiave si affermi, ma nel frattempo - per fare un esempio - con il “bilancio di sostenibilità” ne vedremo delle belle! Ragionavo in giorni sulla grande dispersione di temi che la sostenibilità e i suoi principi impongono ad una piccola comunità come la nostra. Sicuramente il settore energetico è un elemento cardine e abbiamo certo la possibilità di lavorarci attraverso la strategia che la Valle d’Aosta scelse anni fa. Ne ricordo gli elementi essenziali tratti dalla premessa ai documenti ufficiali: “Con l'ambizioso obiettivo di rendere il proprio territorio "Fossil Fuel Free" entro il 2040 e di pervenire così a un nuovo modello di sostenibilità ambientale ed energetica, la Regione Autonoma Valle d'Aosta ha deciso, con un ordine del giorno approvato all'unanimità dal Consiglio regionale nella seduta del 18 dicembre 2018, di redigere una specifica Roadmap che indicasse le linee di azione da perseguire per il raggiungimento di tale risultato. La realtà valdostana, caratterizzata da un'importante produzione di energia idroelettrica e da un ricco patrimonio forestale, si presta allo sviluppo e alla sperimentazione di politiche innovative volte a un utilizzo sempre maggiore delle fonti energetiche rinnovabili, associate però, in via prioritaria, all'efficientamento e alla riduzione dei consumi energetici in tutti i settori. Al contempo sono diversi i fattori - ambientali e antropici - caratterizzanti il territorio regionale che rendono più difficoltoso tale percorso. L'ambiente montano, il clima alpino, un abitato poco concentrato, ma molto sparso e diffuso, incidono in maniera rilevante sui fabbisogni di energia per il riscaldamento e la mobilita. Il percorso di decarbonizzazione del territorio, declinato attraverso la certificazione delle emissioni e la Roadmap "Fossil Fuel Free 2040", oltre a indubbi effetti positivi sull'ambiente, potrà essere volano di significative ricadute economiche e turistiche, confermando la Valle d'Aosta come una Regione dalla vocazione "Green". Un percorso sfidante, che intende anticipare i recenti obiettivi UE di completa decarbonizzazione dell'economia al 2050, e difficoltoso, soprattutto in quei settori storicamente caratterizzati da una penetrazione più lenta degli interventi e da necessità alle volte contrastanti con gli obiettivi della Roadmap. Un cammino che richiederà una forte sinergia tra indirizzi pubblici e volontà private e il dispiegamento di considerevoli investimenti, da attuarsi ottimizzando e facendo leva sulle risorse a disposizione dell'Amministrazione regionale in coordinamento con i fondi statali ed europei”. Molte cose sono state fatte, ma oggettivamente ci sono delle riflessioni ulteriori da fare, anche perché é già trascorso del tempo. Ad esempio bene sta facendo la società elettrica CVA, preziosa risorsa per i valdostani, ad espandersi nel mercato delle rinnovabili. La diminuzione del peso dell’idroelettrico, a causa del cambiamento climatico e del diminuire delle risorse dell’acqua con la crisi profonda delle aree glaciali, deve giustamente essere controbilanciata da un’azione di espansione fuori Valle con investimenti nel fotovoltaico e nell’eolico. In più bisogna essere pronti - e progetti del PNRR vanno in questo senso - al vettore idrogeno verde che avrà il pregio di raccogliere quell’energia che oggi si perde nelle rinnovabili per il mancato assorbimento nelle rete elettrica nazionale. Idem la strategia, su cui esiste la collaborazione fra Comuni e CVA, sulle comunità energetiche, che rappresentano, pur senza mitizzarle, una possibilità interessante per avere una rete locale assai diffusa e solidale in realtà più piccole rispetto ai grandi complessi strategici di energia. In termini più complessivi sarebbe bene seguire la pista dell’ efficientamento energetico su cui non caso sono stati messi fondi cospicui, utili anche dopo la fine del boom dovuto al 110 superbonus (salasso per le casse dello Stato!), e che rappresenta un elemento capitale nella lotta ai meccanismi perversi che oggi aumentano la temperatura sul Pianeta con ricadute reali anche nei nostri territori montani. Insomma: tante cose assieme, che sono così concrete da rendere la sostenibilità qualcosa di vero e non, come purtroppo oggi appare, una moda cui ci deve attenere.