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30 ott 2023

L’ultimo e decisivo tratto

di Luciano Caveri

Ora mi auguro che la parte finale non si dimostri inutilmente lunga. Come scelta annunciata, in questi ultimi periodi, non ho più scritto della ormai celeberrima “réunification” (so che il termine non piace a tutti, ma ha almeno il pregio di dire che cosa si vorrebbe fare). Questo sacrificio da parte mia, che amo dire pane e pane e vino al vino e ritengo che la chiarezza anche brusca resti un pregio, l’ho fatto dopo aver notato un rallentamento e certe curve inutili in una vicenda naturale, che mi pareva semplice nella sua necessità. Ho sempre rispettato dubbi e mal di pancia di chi chiedeva tempo e pazienza e lo faceva per saggezza del tipo “La gatta frettolosa fa i gattini ciechi”. Ho apprezzato meno chi manifestava perplessità più barocche e meno propositive, ma ci sta anche questo in politica, dove la razionalità si mischia legittimamente a sentimenti, passioni e ambizioni, che la rendono - come la boxe e per chi è onesto - una “noble art”. Ora spero che, chiusa positivamente l’assise unionista, si entri con l’apposita Commissione e giusto impegno verso il pilotaggio dell’ultima fase, che mi auguro si esaurisca in tempi rapidi, perché ora il tempo stringe e ogni forma di decantazione sarebbe inutile, quando il solco è stato tracciato. Il mondo gira vorticosamente e ci aspettano in questo mondo cui apparteniamo più burrasche che cieli azzurri, per cui bisogna agire. So bene che c’è chi vorrebbe derubricare a poca roba gli sforzi nobili del mondo autonomista nel ricomporre il puzzle attuale. Non sono affatto “baruffe chiozzotte” come da celebre titolo di una commedia scritta da Carlo Goldoni, che è diventato modo di dire. Si tratta di insinuazioni da parte di chi non ci ama e alimenta polemiche pretestuose e qualcuno ci casca. Milito personalmente fra coloro che pensano che non esistano alternative allo stare assieme in un solo movimento autonomista. Questo movimento non può che essere per ragioni storiche e di buonsenso l’Union Valdôtaine, specie per chi anche andando altrove era - e io mi sento fra questi - rimasto saldamente sul terreno autonomista o meglio federalista. Per cui non mi sono mai sentito per così dire un “fuoriuscito”, che da vocabolario è chi - termine nobile ai tempi del Risorgimento e della Resistenza - si trova a dover scappare all’estero per motivi politici dal Paese di appartenenza. Ma tutto questo ormai è passato e abbiamo nuove tappe davanti. Le divisioni vanno sepolte e l’unità di intenti è ovviamente temuta dai molti nemici esterni ed interni che ci combattono, perché non credono al valore della nostra Autonomia e alla forza della nostra identità, come ben visibile dai loro comportamenti e da un uso della politica dalla logica inquisitoria e giudiziaria, mai di quella propositiva e di confronto. Bisogna rimettersi assieme, guardare avanti e questo non vuol dire rinnegare la storia di ciascuno di noi e non riconoscere torti e ragioni, senza indugiare. Le vicende politiche e personali vissute, ormai dietro le spalle. Esiste ormai un interesse comune che dev’essere il collante per difendere la Valle d’Aosta e motivare la nostra comunità di cui siamo espressione per una guida sicura verso il futuro. Troppi incapaci e dilettanti che vedo in giro aspettano di prendere in mano al posto nostro la Valle per spingerla verso il baratro di una normalizzazione politica nei ranghi della confusa partitocrazia italiana. Non dobbiamo consentire che ciò avvenga e per questo bisogna lavorare per il futuro. Un disegno coerente, che parte dal lavoro fatto e da dossier delicati da affrontare, che metta assieme le migliori energie della piccola comunità valdostana con una sfida immediata. Si tratta di sconfiggere la mancata partecipazione che si manifesta non solo con l’affermazione dell’astensionismo al voto, ma anche con una crisi più generale della democrazia e dell’impegno civile che può essere letale per un piccolo popolo come quello valdostano (non ripeto nulla sulla letale crisi demografica). Uscire dal proprio particolare e partecipare ad un dibattito sulle mille cose da fare è una grande e difficile ambizione o meglio una grande speranza per un Movimento autonomista pluralista e intergenerazionale. Già oggi, più che mai, bisogna capire che cosa sarà di tutti noi.